mercoledì 11 maggio 2011

Il bambino, il gufo e le stanze buie


Prendere sonno era diventato difficile per Teodoro. Ora che non divideva più la stanza con Lydia si ritrovava ad avere molto più spazio, e durante il giorno questo gli piaceva. Un'intera stanza da riempire di idee, foto, disegni, ritagli, giochi e invenzioni. Aveva gia iniziato a fare degli aerei e delle barchette di carta come suo padre gli aveva insegnato, aveva in mente di farne a decine, centina! Anche se il momento era fermo a solo tre aerei decenti e una barchetta incerta.
Il suo progetto consisteva nell'appenderli con della lenza da pesca al soffitto, gli aerei più in alto, e le barchette più in basso, dopo sarebbero bastati degli striscioni azzurri per rappresentare il mare e lui avrebbe potuto divertirsi a immaginare le battaglie infinite tra le due cartacee flotte. Ma il lavoro si era rivelato più lungo del previsto, e la giornata era stata così piena che per quel giorno non era riuscito ad aggiungere nemmeno un elemento al suo progetto.
Teodoro guardava la barchetta giacere un po storta sulla scrivania, illuminata da una luce stradale, sperando di poterle dare qualche rinforzo il giorno seguente. Il buio invadeva la maggior parte della stanza, e guardando le pareti da sotto le lenzuola sembrava che il buio le allontanasse da lui, rendendo quel nuovo spazio guadagnato molto più che necessario, quasi eccessivo.
Uno degli svantaggi di avere troppo spazio per se stessi e proprio quello di sentirsi soli, pensava Teo, ma in realtà gli mancava parlare con Lydia fino a quanto non arrivava il sonno. Le ombre della della notte potevano essere molto interessanti se le si poteva commentare assieme, ma da solo erano noiose. Che gusto c'era a vedere un ombra con la forma di un cane sugli sci, se non c'era Lydia a dirgli che secondo lei era più simile ad un cavallo a dondolo. Teodoro Continuò a fissare quelle ombre fino a che queste non cominciarono a muoversi, ondeggiando probabilmente a causa del vento che colpiva la luce stradale. Il cane cominciò a ricordare sempre più un cavallo a dondolo, sino a quando non decise di scendere dagli sci e correre tra gli sprazzi di luce proiettata sulla parete.
Teo sgranò gli occhi. Non credeva a quello che stava succedendo. Davanti a lui l'ombra di un cane andava a mordere delle ombre e le tirava a se come avrebbe potuto tirare una coperta. Ne lasciava andare una e poi correva ad afferrare un'altra, riducendo sempre di più lo spazio di luce sulla parete. Infine la luce spari e Teodoro si ritrovo al buio da solo.
Tentò di dire qualcosa, ma si accorse alla prima vocale di non riuscire a produrre alcun suono. Non solo. Non riusciva più a sentire nemmeno il rumore del vento fuori dalla stanza. Iniziò a tremare.
Cominciò ad afferrarsi una mano con l'altra e poi a risalire le braccia per assicurarsi di essere ancora li, di esistere ancora sebbene non riuscisse più ne a vedere ne a sentire niente. Quando arrivò al volto si accorse toccandoli di avere gli occhi chiusi. Spostò le mani dal volto e fece un primo faticoso tentativo per guardare attraverso il buio.
Gli occhi di Teodoro si aprirono su un soffitto nero che ondeggiava sopra di lui come liquido, era in piedi, non più coricato nel letto e sentiva freddo ai piedi. Si accucciò per guardare anche il pavimento, era ruvido sotto i piedi ma morbido, divertente da calpestare e sbattendoci i piedi sopra lo vide vibrare come uno specchio d'acqua aprendosi con onde concentriche che rivelavano un riflesso verde smeraldo al loro avanzare. Le onde risalivano poi le pareti di quella stanza riunendosi sul soffitto esattamente sopra di lui, più che acqua, sembrava che tutto fatto di finissimo velluto.
Nel punto in cui le onde si riunirono la luminescenza color smeraldo rimaneva fissa, così Teo decise di calpestare a caso il pavimento, da prima lentamente, disegnando sul soffitto punti luminosi di diverse dimensioni, poi accelerando i suoi movimenti le onde cominciarono a scontrarsi e accavallarsi disegnando centinaia di forme curvilinee luminose anche su pavimento e pareti.
Era un gioco simpatico, ma l'interesse di Teo cominciava a scemare. Si guardò intorno e notò due puntini gialli in un angolo della stanza che fino a quel momento non gli erano mai balzati all'occhio.
  • «mi hai visto finalmente!»
Dalla direzione dei due puntini venne fuori una voce. Teo fece un passo nella loro direzione, e un'onda luminescente percorse tutta la stanza, passando sopra i due punti gialli che si deformarono per un attimo, come se si trovassero all'esterno di quello spazio di gioco.
  • «chi sei?»
  • «Teogene»
  • «mi posso avvicinare, non ti vedo bene da qui...»
  • «Tranquillo, mi avvicino io»
I due puntini cominciarono ad allargarsi, passando dalle dimensioni di due biglie a quelle di palline da ping pong, per poi diventare grandi quanto tazzine da tè. Al loro centro un cerchio nero di dimensioni inferiori diede a Teodoro l'impressione che quelle due grosse sfere gialle fossero degli occhi di Teogene.
La loro dimensione continuò ad aumentare fino a quando Teo aprì bocca.
  • «Fermo! Ora dimmi cosa sei... incominci ad essere un po troppo grande»
  • «Grande?»
  • «Si, vedo solo i tuoi occhi e sembrano dei palloni da calcio... chissà il resto! cosa sei?»
  • «Be, è presto per dirsi...»
  • «cosa vuol dire, non sai cosa sei?»
  • «Certo che lo so, ma se tu non riesci a vedermi per intero è difficile spiegartelo»
  • «Hai una voce familiare»
  • «Per forza, è la tua.»
  • «Parli con la mia voce?»
  • «no, tu parli. Io comunico. Tu hai una voce, io sono una voce.»
  • «Le voci hanno gli occhi?»
  • «la maggior parte»
  • «non ho mai sentito nulla del genere»
  • «forse ascolti poco»
Teodoro rimase in silenzio, non prese bene la critica ma non sapeva come ribattere a Teogene. Contemplò quei grossi occhi Gialli cercando di fissarli contemporaneamente. Ma erano troppo grandi e troppo vicini per farlo senza rischiare di diventare strabico. Si sedette per terra e continuò a fissarlo in silenzio.
  • «Sto ancora sognando vero?»
  • «Si, sei ancora nella tua stanza.»
  • «questa è la mia cameretta?»
  • «Si e no, il tuo corpo è nella tua cameretta, se intendi il posto dove dormi... questa è la stanza.»
  • «che vuol dire?»
  • «Concentrati... immagina una cosa qualsiasi»
  • «un oggetto?»
Prima che Teogene rispondesse dal soffitto sbucò fuori un aeroplanino di carta, prima verde e luminescente, poi bianco candido. Volteggiava senza peso attorno a Teo rispondendo a molte delle domande che aveva in testa.
  • «esaudisci i miei desideri?»
  • «no, quello è compito tuo.»
  • «Come hai fatto a far apparire l'aeroplanino di carta?»
  • «avevi bisogno di sapere cosa era la stanza, cosa ero io, perché sei qui, e a cosa serve tutto questo, giusto?»
  • «Si... credo»
  • «ora lo sai?»
  • «La stanza è come una parte di me, e anche tu lo sei, sono qui per capire come questo sogno funzioni giusto?»
  • «Tue le domande tue le risposte Teo»
  • «ho già sognato questo posto vero? Perché non mi hai mai parlato prima?»
  • «credo tu sappia anche questo...»
La risposta alla prima domanda era si. Un si che si illuminò nella mente di Teo come il segnale di ingresso libero per una biblioteca piena di domande e di risposte. Desiderare significava domandare, sognare permetteva di avere le risposte. Quelle possibilità non venivano dai due occhi gialli che si riferivano a se stessi come alla “voce di Teo”, ma da Teo stesso. “La voce” era qualcosa che Teo ancora non capiva, ma piuttosto di chiedere qualcos'altro su di lei, L'ennesima domanda che bruciava nella mente di Teodoro era un'altra
  • «Perché io? Cosa ho di speciale per avere una stanza come questa e tu come voce?»
  • «Tu sei un gitano, ogni gitano ha la sua voce, ma la stanza.... non sarei molto sicuro che sia tua.»
  • «e di chi è?»
  • «questo non ha importanza. Ma se vuoi capire meglio cosa siamo io e te, ripeti dopo di me: “Tu sei la mia voce e io sono il tuo gitano”»
  • «Gitano? Come uno zingaro?»
  • «Gitano come un Gitano, dai ripeti avanti...»
La voce sembra essersi un po' scocciata delle domande di Teo, ma in compenso a lui non piacque il tono con cui la voce gli aveva risposto.
  • «Tu sei la mia voce e io sono il tuo gitano...»
La stanza tremò, il nero sparì e tutto brillava di un verde ormai fosforescente, il colore cominciò a pulsare e una sagoma cominciò a tracciarsi intorno agli occhi come una lunga e gigantesca ombra azzurra che raggiungeva persino il pavimento.
  • «Su, concentrati! Ripetilo credendo in quello che noi due siamo. Siamo uno parte dell'altro.»
Disse la voce, e Teo capì di volere a sua volta che quelle parole venissero ripetute nel modo giusto.
Fissò la sagoma azzurra e vi vide attraverso un grosso gufo.
  • «Tu sei la mia voce, ed io il tuo Gitano.»
Le pareti si sciolsero permettendo alla luce del sole di entrare nella stanza, davanti a lui un gufo grande quanto una casa di tre piani lo fissava dall'alto. Teogene sembrava soddisfatto di Teodoro, e il bambino poteva dire altrettanto nel osservare una figura tanto imponente.
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono impelagandosi in una fitta discussione senza parole, quando un minuscolo uccello dalle piume color carbone, abbattendosi su una statua di pietra vicino ad un gabbiano non lontano da loro li distrae, e la furente battaglia aerea che ne segui non migliorò la loro concentrazione.

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