venerdì 26 novembre 2010

Erba fresca sotto i piedi


Ci sono cose che la vita ci costringe a fare, altre che ci costringiamo a fare noi stessi. Delle volte chiamiamo “scelta” la strada che percorriamo, ed è facile riconoscere chi nel farlo mente. Puoi fare lo stesso lavoro per anni, sorridere tutti i giorni ed essere felice dei piccoli traguardi raggiunti con fatica, poi smetti di sorridere e invece della tristezza senti il sollievo. In quel momento capisci che sei un bugiardo e puoi di nuovo scegliere: continuare sulla strada e mentire o toglierti le scarpe e passeggiare sull'erba che cresceva lungo il sentiero. Quando Virginia capì che la parte migliore del panorama era poterne fare parte, diede al suo capo la lettera che, con un mese di preavviso, lo informava delle sue intenzioni. Da quel giorno camminando per l'ufficio le sembrava di sentire l'erba sotto i piedi e la rugiada tra le dita, si sentiva libera e il lavoro le risultò più leggero di quanto non fosse mai stato. Dopo il primo compleanno di Lydia, Virginia si rese conto che non le sarebbe stato facile continuare a vivere con la sola indennità del marito, e non voleva che sua figlia crescesse senza avere un punto di riferimento, una figura nella sua vita che le mostrasse cosa volesse dire lavorare. Gli studi universitari mai completati non potevano aiutarla, e riprenderli a quel punto sarebbe stato un grosso azzardo, cercò quindi impieghi come rappresentate e venditrice, puntando sui suoi modi gentili e la bella presenza, qualità richiesta in ogni annuncio e che seppur timidamente lei sapeva di possedere. Con sua Grande fortuna trovò lavoro presso una agenzia immobiliare che le garantiva uno stipendio minimo pari all'indennità statale e la possibilità di ricevere delle provvigioni su ogni vendita conclusa con successo. Molti furbi le consigliano mantenere l'indennità e se proprio voleva lavorare richiedere unicamente le provvigioni così da farle passare come attività occasionali o direttamente non denunciarle ed evadere le tasse, ma non era quel tipo di persona e, per non esprimere giudizi su quei consigli, rispondeva di non voler dare quel esempio alla figlia di un uomo come fu Federico.
Lavorare nel settore immobiliare era molto duro, un ambiente competitivo dove per emergere era necessario essere perlomeno un po' venali, se non si è capaci di diventare all'occorrenza degli squali. Per Virginia la parte peggiore era fare rapporto delle proprie vendite al suo responsabile, una donna che rispondeva al nome di Silvia.
Quando Virginia iniziò a lavorare le insegnò tutto lei, compresi alcuni trucchi non proprio deontologici che sebbene L'allieva non fosse capace di usare, facevano parte di una cultura che era meglio tenere segreta, e per questo motivo, veniva tramandata da un maestro solamente all'allievo più meritevole, come un'antica arte marziale il cui scopo era spennare i polli.
Questa donna era fattezze estremamente minute, con un volto delicato e morbido, sempre colorito che le dava quando sorrideva un'espressione di eterna bambina. e la sua voce sembrava unta con il miele e spolverata con lo zucchero, ma quando una vendita veniva chiusa al disotto delle sue aspettative diventava rauca e sottile come un sibilo e i suoi capelli ricci si gonfiavano dietro la nuca dandole l'aspetto di un grosso gatto soriano a cui avevano appena pestato la coda. Questo era l'aspetto di Silvia nell'ultimo mese ogni volta che si trovava a pochi metri da Virginia.
Giunto il fatidico giorno, mentre Virginia sgomberava la sua scrivania, un sibilo familiare le attraversò le orecchie:
« Credi davvero di poter trovare un altro posto come questo? Un altro lavoro che ti possa dare tanto? Posso strappare le tue dimissioni oggi stesso, possiamo ridiscutere le condizioni del tuo contratto se vuoi...» Per quanto Silvia fosse una brava venditrice, quella trattativa sembrava metterla estremamente a disagio, sentiva di non essere al posto giusto nel fare quelle proposte.
« Rimani nel tuo settore, Comprare è difficile... delle volte impossibile.» Disse Virginia sollevando la scatolina che racchiudeva al suo interno le poche cose che voleva portare via da quel posto con se.
Silvia spalancò la bocca dando l'idea di non ricordarsi come fare per chiuderla, ed approfittando di quel momento Virginia si chinò per cingerli il braccio libero attorno alle spalle.
« Grazie di tutto! Ci vediamo al compleanno dei bambini se ti va...»
a quelle parole i capelli di Silvia si sgonfiarono un po' mentre la bocca si chiuse in un sorriso, lasciando Virginia libera di abbandonare quell'ufficio senza rimpianti e con la fresca sensazione dell'erba sotto i piedi.
Giunta alla sua macchina poggiò la scatola nel bagagliaio e ne estrasse un piccolo blocco per gli appunti dove riportò un pensiero che gli attraversò la mente durante la sua passeggiata verso la macchina:

-l'ultimo passo è sempre il più emozionante, ma sono i precedenti a renderlo tale. Non bisogna saltarne nessuno.-

L'avrebbe usato nel prossimo libro di racconti, o forse nel successivo ancora, doveva scriverne perlomeno altri tre quindi aveva bisogno di ogni più piccola idea che le attraversasse la mente o in breve tempo avrebbe dovuto far ritorno a quell'ufficio, ricordando che il pavimento non era d'erba ma di freddo marmo.
Ma non valeva la pena pensarci ora. Il suo primo libro vendeva bene, poteva passare più tempo con la figlia prima che giungesse all'età in cui “passare del tempo assieme” potesse diventare una sorta di tortura, prima per una e di conseguenza anche per l'altra.
Aveva ancora un'oretta prima di dover prendere i bambini a scuola, poteva prendersi un attimo per se, anche perché tornando a casa avrebbe solamente disturbato il riposo di Luigi. Mise il blocco per appunti nella borsetta e, dopo aver chiuso la macchina, si avviò verso un parco non troppo lontano dove avrebbe potuto prendere un po' d'aria fresca e magari bere un caffè in un chioschetto che sarebbe dovuto essere ancora aperto benché la stagione estiva fosse sul punto di concludersi. Purtroppo non era così ma la possibilità di togliersi le scarpe e passeggiare scalza sull'erba come aveva immaginato di fare per un mese fu decisamente meglio della dose di caffeina del chiosco.
Una piccolo premio per il duro lavoro, per gli obbiettivi raggiunti, e per incentivare tutto quello che sarebbe venuto da quel giorno in poi.
Era tutto perfetto, fino a quando non sentì qualcosa pungerle il piede. Abbassò lo sguardo, e trovò una piuma nera fare capolino da sotto le sue dita. Un brivido le attraversò il corpo dal tallone alla nuca facendole indossare velocemente le scarpe e poi correre dritta verso la macchina. Doveva tornare di corsa dai bambini e assicurarsi che si trattasse solo di una coincidenza.

mercoledì 24 novembre 2010

Alessandro


La maestra di Lydia e Teo, Maria Donori, era una donna minuta, anche rimanendo un paio di gradini più in alto rispetto alla madre di Alessandro la sua testa non arrivava nemmeno a sfiorarle le spalle. Una volta salutata la signora Neumenn con un sorriso, si guardò attorno per vedere se la sua classe si era già riunita davanti a lei e dato che sembravano mancare ancora un paio di volti cominciò a richiamare l'attenzione alzando la voce.
«Buongiorno Bambini!! tutti quelli del terzo anno si mettano qui in fila! Entriamo in classe, su su!»
In fretta anche i bambini un po' più lontani e quelli che erano rimasti al fianco dei genitori imbracciarono i loro zainetti e si misero in fila davanti alla maestra, da prima un con un po' di disordine poi restringendosi sempre più in una fila per due mentre la maestra Maria agitava le braccia allargandole e poi ritirandole, come una chioccia che allarga le ali per avvicinare a se i suoi pulcini.
Una volta creato l'ordine, la maestra si guardò attorno e dopo l'ingresso della seconda classe fu il turno dei suoi allievi. Facendosi da parte invitò Lydia e Veronica, le prime della fila, a cominciare ad incamminarsi verso la classe seguite a ruota da Alessandro, Teodoro e la coppia formata da Margherita e Domenico che, dagli sguardi corrucciati, sembravano dispiaciuti dal dover dare la mano ad una poco gradita seconda scelta.

Lydia guidò i compagni lungo il corridoio, superò quella che sino all'anno precedente era la sua classe, ma non riuscì a resistere alla tentazione di darvi un piccolo sguardo all'interno. Trovando un bambino seduto a quello che era il suo posto provò un piccolo moto di gelosia, ma si accorse velocemente che era sciocco da parte sua, e augurandosi che quel bambino non fosse un vandalo tale da rovinare il suo banco con stupidi disegnini proseguì verso la porta su cui una targhetta indicava la classe terza. Vi era anche la lettera “A” sulla targhetta ma ormai non aveva alcun senso. Vi era solo una sezione per ogni classe in quella scuola, da anni ormai nella zona non nascevano abbastanza bambini per formare due classi in quella scuola, e anche se l'edificio poteva ospitare sino a tre sezioni per anno, tutto quello spazio finì per diventare laboratori di gioco e studio o semplici magazzini per il materiale inutilizzato.
Arrivati davanti alla classe Lydia attese l'arrivo della maestra Maria e come questa aprì la porta fu come l'accensione delle luci verdi ad una gara automobilistica. I più veloci spingevano i più lenti e ognuno cercava di prendere il suo posto preferito. Chi quello vicino alla finestra, chi quello più nascosto alla cattedra e chi invece preferiva stare in prima fila per poter vedere meglio la lavagna senza dover mettere degli imbarazzanti occhiali rosa, come ad esempio Veronica, che fortunatamente trovandosi prima della fila riuscì nel suo intento senza problemi. Lydia invece preferì prendere posto alla destra della finestra, così da poter avere un posto dove svagarsi quando la lezione diventava troppo pesante e Margherita prese posto affianco a lei. Domenico Prese il secondo posto vicino alla finestra, proprio dietro Lydia e mise la mano ben aperta sulla sedia al suo fianco per tenere il posto a Teo, il quale, scoprì che a differenza della seconda classe dove i banchi erano disposti a gruppi di tre, in quella classe erano raggruppati due alla volta, più un banco posto al fianco della cattedra per l'angelo custode della maestra, ovvero quel bambino che di mese in mese si dimostrava più bisognoso di qualcuno di severo come compagno di banco.
Quel sistema era caduto quando Teo aveva fatto notare che essendo ventuno in classe, era possibile disporre i banchi a gruppi di tre per dare a tutti un compagno di banco, ma in quella classe non era possibile adottare lo stesso sistema in quanto molto più lunga che larga e inoltre quell'anno con l'arrivo di Alessandro ci sarebbe stato bisogno di un banco in più, ma non era quello il problema di Teodoro. Si era accorto che non poteva mantenere la promessa Fatta poco prima di essere il compagno di banco di Alessandro senza rompere il sodalizio con Domenico che li vedeva compagni di banco già dai tempi dell'asilo. Nell'esitazione non si accorse che il resto della classe aveva preso posto con eccezione di lui, Alessandro e Enrico, un compagno di classe amante del calcio con cui Teo non aveva mai trovato modo di fare amicizia.
Prima che la maestra potesse dire niente Teo Prese la parola:
«Maestra, manca un banco... Vado a prenderlo?» la proposta era più una fuga dal dover scegliere tra l'amico e la promessa fatta ad un possibile nuovo amico.
«Va bene, ma fai in fretta! Alessandro accompagna questo bambino e dagli una mano!» sentenziò la maestra Maria trovando un sorriso di assenso nel volto dei due bambini.

Tra le classi divenute magazzini una in particolare veniva chiamata dai bambini (o forse solamente da Lydia e Teo)“cimitero”. ospitava tutti i banchi e le sedie non più utili, in particolare quelli rotti o rovinati dal tempo erano tutti accatastati uno sull'altro e, dato che piano piano tutte le lampadine erano state usate per sostituire quelle fulminate nelle altre classi, nelle occasioni in cui mancavano bulbi nuovi a disposizione, la classe era sempre buia e grigia. Quel grigiore metteva sempre a disagio quei bambini che la maestra mandava a sostituire la propria sedia o il proprio banco. Capitò persino che in una classe la porta venne via dai cardini rompendosi, così per sostituirla fu usata la porta del cimitero donando alla stanza un aspetto ancora più inquietante.

Il cimitero si trovava sulla parte opposta del corridoio della terza classe un paio di metri più in fondo. Arrivati sulla sua soglia Teo e Alessandro dovettero fare forza sulla porta semiaperta per entrare nella classe e anche se entrambi erano intimoriti dall'atmosfera del luogo solo per Alessandro era difficile nasconderlo. Teo, che sapeva a cosa andavano incontro già da prima di uscire, lo rassicurò: «sono solo banchi! Scegline uno che lo portiamo in classe...»
«Ok, qvesto?» fece Il bambino sollevando il banco come se nulla fosse e mostrandolo a Teo, il quale sbarrò gli occhi e fece un cenno d'assenso al bambino.
«Si... se ci riesci da solo io prendo la sedia... » disse, e prendendo la sedia uscirono in fretta dal cimitero ritornando nella loro classe.
Al loro ritorno Enrico era seduto al fianco di Domenico che mal celava il suo disappunto per quel compagno di banco imposto. Teo evitò il suo sguardo mentre prendeva il banco dal fianco della cattedra per sistemarlo in fondo alla classe vicino a quello appena portato da Alessandro, per fortuna questi gli diede una mano o non sarebbe riuscito a trasportarlo da solo con la stessa facilità dell'altro bambino.

Una volta che tutti ebbero preso posto La maestra fece l'appello e dato che tutti erano presenti diede il via all'anno scolastico con un bella chiacchierata
«Ciaoo! Come state tutti bene?»
«Si» risposero tutti con un coretto più o meno armonico...
«Avete passato delle belle vacanze?»
«Si»
«Benissimo! Oggi vorrei che mi raccontaste qualcosa, ma prima... voglio presentarvi il nuovo compagno di classe... Alessandro, puoi venire qui vicino a me?»
Nell'imbarazzo dovuto dall'avere 44 occhi puntati addosso Alessandro risponde all'affermazione della maestra raggiungendola alla cattedra e girandosi verso il resto della classe cerca di fare un piccolo cenno di saluto con la mano mantenendo la bocca chiusa e le guance rosse.
«Alessandro viene dalla Germania, il padre è italiano e quindi sa un po di italiano ma deve fare pratica... puoi presentarci e raccontarci qualcosa di te e della tua famiglia?» La maestra volle dargli una comprensiva imboccata ma per un po nella classe non regno altro che il silenzio, ma quando questo diventò troppo pesante anche per lui, l bambino decise di liberarsene:
«Mi kiamo Alessandro Armato, fengo da Stuttgart, mio padre doveva fenire qvi per lavoro e ci siamo trasferiti qvesta estate, non sono molto bravo a parlare ma foglio migliorare... non so cosa dire ancora... sono finito...»
Le risate invasero tutta la classe, ma mentre alcuni come Lydia cercavano di nascondere la bocca con la mano, altri come Domenico ed Enrico proprio non volevano contenersi. Teo non riuscì a trattenere il sorriso, ma lo fece sparire velocemente notando l'imbarazzo rafforzare il colore delle guance del nuovo compagno di classe. La maestra batté la mano sulla cattedra quattro volte per ritrovare il silenzio nella classe, e una volta ristabilito prese la parola:
«Alessandro sei stato molto bravo a presentarti! Hai fatto solo un piccolo errore: quando vuoi dire che hai finito qualcosa si dice “ho finito”. Forse i tuoi sciocchi compagni non sanno che in tedesco il verbo che aiuta il verbo finire, è il verbo avere, e non il verbo essere come in italiano. Sei stato molto bravo a tradurre... Domenico o Enrico vogliono dire qualcosa in tedesco per salutare il nuovo compagno? » i due bambini impallidirono «Niente? Immaginavo. Alessandro vai a posto.... oggi vorrei che tutti mi raccontaste qualcosa delle vostre vacanze...»
Mentre Alessandro andava a posto Teo gli rivolgeva un grande sorriso e tirandogli indietro la sedia lo invitò a prendere il posto che gli spettava.
«In che parte della germania è Stuttgart?» chiese al compagno di banco...
«èh nello Baden-Württemberg...» rispose lui candidamente, ma leggendo una certa confusione degli occhi di Teo si affrettò ad aggiungere «...Ficino alla foresta nera»
«wow!» Era l'unico commento possibile ad una risposta che, per quanto incapace di dare una giusta risposta, comprendeva il nome di un posto troppo interessante da lasciar passare senza un commento di ammirazione.

domenica 21 novembre 2010

La classe


Lydia osservava da lontano Teodoro fare conoscenza di quel ragazzo nuovo mentre lei si intratteneva con le amiche, alcune delle quali non vedeva da giugno e tra loro in particolare, senza troppo dispiacere, c'era Margherita; ci sono bambini che per quanto possano essere educati, cortesi, simpatici e cordiali proprio non rientrano nei nostri gusti per un solo e delle volte insignificante particolare, non un difetto, ma qualcosa che nonostante la ragione ci dica quanto questo sia assolutamente trascurabile non riusciamo a farcene una ragione.

Lydia non aveva antipatia per Margherita, anzi, riconosceva in lei svariate qualità ma non poteva soffrire la sua “eccessiva femminilità”. Il suo zaino era sempre nuovo ogni anno, e ogni anno era di colore rosa, come rosa dovevano essere le sue scarpe e il ricamo sul suo grembiule. I suoi capelli biondi erano vaporosi, lunghi fin sotto le spalle, terminavano con larghi boccoli ed erano sempre rigorosamente sciolti, se non per qualche forcina a forma di muso di gatto (il gatto in questione portava a sua volta un fiocco tra le orecchie). Persino durante le ore di disegno non provava a legarsi i capelli in una coda e contrariamente a quanto succedeva a Lydia, non gli creava nessun fastidio portarli davanti agli occhi.
«... Ma Teo è diventato più alto? Sembra proprio che sia più alto... cosa ne pensi Lilì?» chiese Margherita a Lydia trovandola distratta mentre le altre ragazze confrontavano i loro zainetti nuovi;
Lydia trasalì per la sorpresa con cui la domanda l'aveva colta, ricordando uno dei motivi per cui non era dispiaciuta di non aver visto l'amica durante l'estate.
«Quando Zio gigi ci ha misurato l'altro giorno lui era appena un centimetro più alto rispetto all'anno passato, mentre io due... non credo mi raggiungerà mai!»
«Ancora deve nascere il maschio che ti raggiungerà Lilì!» a prendere la parola fu Veronica, una ragazza dai capelli scuri e gli occhi color nocciola, minuta tanto da sembrare almeno un anno più piccola di Lydia, anziché nove mesi più grande come era in realtà. La bambina aveva un vera e propria adorazione per la compagna di classe, osservandone gli occhi azzurri non poteva non pensare che averli anche lei di quel coloro potesse farla uscire dall'anonimato in cui si sentiva rilegata a causa delle sue piccole dimensioni e dall'aspetto tanto comune.
«Già, da quando sei la capitano i maschi non vincono mai i giochi a squadre! » Sentenziò Margherita;
«Siamo sempre più di loro, è anche per questo! Ma chi è quel bambino? » Lydia cambiò l'argomento prima che diventasse ancora più imbarazzante spostando l'attenzione degli altri su ciò che aveva rubato la sua.
«Si Chiama Ale credo...» Disse Veronica « La madre è una signora altissima che è entrata dentro la scuola con la maestra Maria, l'ha chiamato così mentre gli diceva di aspettarla fuori..»
«Perchè? Ti piace?!» Aggiunse Margherita «se diventasse amico di Teo potremo fare un quartetto! Guarda che se anche quest'anno non ti piace nessuno i maschi cominceranno ad odiarti!»
«No! È poi i maschi mi odiano già... mi tirano i capelli a turno... ma a me non importa, se non fanno attenzione e li scopro gli faccio come a Domenico!» La sentenza di Lydia portò alla mente il terribile incidente in cui, Domenico, tirò i capelli a Lydia senza preoccuparsi di nascondersi bene prima che lei si girasse e trovandosi così a prendere tanti schiaffi quanti il tempo impiegato dalla maestra per separarli le concesse di dargli.
Domenico rimase decisamente intimidito dalla dimostrazione di Forza della bambina, riservandosi il diritto di rispettarla da dovuta distanza.
«è solo che sembra andare d'accordo con Teo, e lui non va d'accordo con tutti...» concluse Lydia.
«Speriamo di no! »Disse Margherita«Se cominciasse a fare amicizia con tutti non sarebbe più il ragazzo di cui mi sono innamorata...»
A Lydia qualcosa si girò bruscamente nello stomaco e distogliendo lo sguardo dai due maschietti che facevano la reciproca conoscenza si rivolse all'amica con sguardo accigliato:
«Ma come parli? Che schifo...»
«Perchè? Che ho detto?»
«Qualcosa di troppo Piccola miss» disse Veronica
«Non sono una piccola miss!»
«Ogni tanto un po' si...» Concluse Lydia ma questa volta sorridendo e attirando lo sguardo ammirato di Veronica sugli occhi azzurri che brillavano sempre un po di più mentre sorrideva.
Le bambine si misero a ridere e con una corsettina si aggiunsero anche loro al duo che diede il benvenuto ad Alessandro.

Vedendole arrivare Domenico fece qualche passo indietro, intimorito dalla presenza di una particolare figura dai capelli neri, gli occhi di ghiaccio e le mani di piombo.
«Ciao! Alessandro queste sono Lydia, Veronica e Margherita... anche loro sono nostre compagne di classe...» disse Teo indicando con la mano le tre bambine mentre ne pronunciava i nomi.
«Ciao Alessandro!» dissero le tre contemporaneamente ritrovandosi poi a ridere per la non voluta sincronia.
«Ciao, hè un Piaccere! » Rispose il bambino arrossendo visibilmente all'arrivo di quel gran numero di ragazze.
«Ma come parli?»Chiese Margherita, mentre Teo si chiedeva se fosse mai capitato che quella bambina avesse riflettuto bene sulla situazione prima di aprir bocca.
«Con la bocca come tutti!» rispose Lydia intercettando, e comprendendo, il disappunto nello sguardo di Teo«Ma lui la usa per essere educato... Il piacere è nostro Alessandro! Possiamo chiamarti Ale? Altrimenti è troppo lungo...»
Il bambino era rimasto un po disorientato da quello scambio veloce di battute tra i presenti, e forse fu per quello che ci mise un po per fare il cenno d'assenso con la testa alla domanda rivoltagli da Lydia. In quel momento la campanella squillò per tutto il cortile, Margherita e Veronica scapparono dalle madri che discutevano tra loro mentre reggevano gli zaini delle figlie, Domenico le imitò, ma Teo, Alessandro e Lydia si avvicinarono dalla loro maestra che era appena uscita dal portone assieme alle maestre delle altre classi e la madre di Alessandro.
Quando la Madre di Alessando si abbassò per dare un bacio al figlio, Teo rimase impressionato per l'altezza della signora, sembra metterci un'eternità a riportare il volto ad un'altezza a cui era possibile per gli umani vedere il colore dei suoi occhi, Grigi, ma della tonalità di Teo e non del figlio. Era persino più alta di Luigi, cosa che Teo non credeva possibile fino a quel momento. Madre e figlio si scambiarono qualche parola in tedesco, che Teo interpretò come “fai il bravo!! ci vediamo all'uscita! Ma prima, bacio...”. Poi lei gli passò una cartella, non lo zainetto che avevano tutti gli altri bambini ma una cartella rettangolare con la struttura rigida, che Teo invidiò moltissimo vista la praticità con cui era possibile sistemare i libri. Ma per Alessandro non era altro che un altro sintomo della sua estraneità a quel luogo.
«Ma dove la posso trovare una così?» si sbrigò chiedere Teo, mentre Lydia sbarrava gli occhi davanti a tanta intraprendenza.
Sentendo la domanda il bambino rispose con un tono di voce appena più alto «hè un regalo... non lo so...», sorrise al nuovo amico, salutò la madre e si avvicinò alla maestra assieme al resto dei compagni di classe, attendendo che qualcuno gli spiegasse cosa fare quel primo giorno.

venerdì 19 novembre 2010

Primo giorno di scuola



Lydia e Teo frequentavano oramai il terzo anno della scuola primaria e tutto ciò che riguardava quel posto, per loro, era assolutamente fantastico.
La prima cosa, seppur banale era l'aspetto. Anche l'occhio vuole la sua parte e tutto in quel edificio trovava l'approvazione nei gusti dei due bambini; sebbene le mura e la facciata non fossero nelle loro migliori condizioni, il suo insieme di macchie, solchi e di piante rampicanti era in qualche modo armonico.
All'inizio il grigio e il verde scuro spaventano sempre un poco, la prima volta che varcarono il cancello principale dell'edificio i due non smisero di tenere strette le mani dei genitori. Il terreno fangoso dentro le aiuole in cui crescevano alberi di betulla, lunghi e dritti, con rami secchi che non davano nessuna speranza di potervici arrampicare e cespugli di rovi che volevano annunciare dolore e sofferenza per chi volesse giocarvi vicino. I Muri erano sporchi tristi e vecchie, le finestre erano molto piccole rispetto al portone e le grondaie rotte facevano colare sporcizia lungo le pareti ad ogni pioggia. ci volle un grande coraggio solo ad osservare quel edificio per più di cinque secondi senza nascondere la faccia dietro la giacca di Luigi.

Ma ormai erano passati 3 anni e i due bambini non sapevano più cosa gli aveva spaventati. Ritornare riportava alla mente le immagini di cosa aveva fatto in modo che quel posto diventasse uno dei loro preferiti. Quando la macchina arrivò nei pressi dell'edificio Lydia ricordò quando Teo le spiego che le macchie che scendevano giù scure disegnando all'edificio una capigliatura simile a quella del mostro di Frankenstein non erano altro che macchie causate dalla pioggia e della sporcizia presente sul tetto, così anche se le finestre continuavano a sembrare degli strani occhi quadrati, avevano smesso di guardarla in modo cattivo. Teo invece non vedeva l'ora di cercare tra i rovi qualche mora che la vecchia bidella, la signora Rosa, avesse dimenticato sulla pianta ripensando che se non fosse stato per Lydia lui non avrebbe mai provato nemmeno a toccare. Come il muro di pietra cominciò a coprirsi di piante rampicanti, annunciando l'avvicinarsi dell'ingresso, i due bambini cominciarono già a pregustare tutto ciò che quel primo giorno avrebbe riserbato per loro.

Ma mentre Virginia parcheggiava in doppia fila davanti al cancello, chiese una cortesia ai due passeggeri:
«Piccoli, vi dispiace se non aspetto l'ingresso oggi? Anche se è il primo giorno ho proprio bisogno di arrivare un po prima per iniziare a ritirare le mie cose in ufficio... vi dispiace? Mi raccomando... sapete come comportarvi vero? ».
«Si mamma, non preoccuparti!» disse Lydia;
« E poi siamo grandi ormai...» aggiunse Teo con tono molto sicuro di se.
Virginia sorrise. Le piaceva che i suoi bambini fossero ansiosi di diventare indipendenti, e anche se non le piaceva troppo pensare che stessero crescendo, l'idea che fossero grandi era piacevolmente nuova.
«Ok, allora fate come i grandi, scendete tutti e due dal lato destro e fate i bravi!! ci vediamo all'uscita! Ma prima, bacio...».
A turno, prima Lydia poi Teo, diedero un bacio sulla guancia a Virginia e la salutarono dal marciapiede una volta scesi mentre lei si allontanava lungo la via.
Una volta dentro il cortile scolastico ai due successe ciò che succedeva anche ai migliori fratelli dall'inizio dei tempi: Lydia andrò a salutare le amiche, Teo a salutare gli amici e senza neanche dirsi ciao ognuno raggiunse le rispettive compagnie.

Dopo le vacanze le prime chiacchierate erano facili. Così mentre Domenico, il compagno di banco di Teo parlava di come aveva passato due settimane al mare a pescare con il padre pesci grandi quanto le sue braccia permettevano di allargarsi, Teo ascoltava ma guardava oltre: cercando qualche riflesso bluastro tra i cespugli di rovi nelle larghe aiuole terrose. Poi un bambino dalla faccia seria e l'aria stanca si appoggiò al muro vicino al portoncino che dal cortile avrebbe portato all'interno della scuola.
«Mimì, tu lo conosci?» Teo interruppe il racconto mentre Domenico si afferrava il polso destro con l'altra mano muovendo il braccio come un serpente;
«chi? Ah, no... ma stavi ascoltando?» gli rispose l'amico.
«Si, una murena che tuo padre aveva catturato e che credeva morta ha cominciato ad agitarsi nel retino e ha provato a morderlo sulla coscia... dopo voglio sapere come è andata a finire, ma guardalo... non ti sembra un po' triste? »;
«un po' si...»;
«Vieni?» chiese, ma senza accorgersene aveva già messo un piede davanti all'altro in direzione del ragazzo. Domenico gli stava dietro ma non molto entusiasta, data la facilità con cui gli fu rubata la scena.
«Ciao!» Disse Teo presentando una mano tesa al ragazzo dall'aria triste. Aveva un visto dai tratti duri, con una mascella grossa e una fronte stretta con dei capelli castano chiaro che crescevano dritti sopra di essa. Gli occhi grigi, ma di un colore più scuro di quelli di Teo, si fecero un po' più piccoli mentre afferrava debolmente la mano del ragazzo che lo salutava con tanto entusiasmo.
«Ciao...» La risposta del ragazzo fece brillare gli occhi di Teo facendoli sembrare forse ancora più chiari. L'accento era particolare, non era italiano ma era familiare, l'aveva già sentito nella voce di un cattivo in un film che aveva visto con suo padre almeno quattro volte...
«sei tedesco? Vieni dalla Germania?»
«Si! Che.. » Prima sgranò gli occhi poi subito abbassò lo sguardo interrogandosi su quale fosse la cosa migliore da chiedere, il modo in cui farlo e anche se non riusciva a realizzare la sua paura, come fare a dirlo senza sembrare ancora più diverso. Una paura che Teo conosceva. Stupendosi a sua volta dell'impeto con cui incalzò il tentennante straniero, disse:
«Io sono Teo! Quanti anni hai?»
«Octo... Sono Alessandro..» sollevò un altro po lo sguardo e cominciò a fissare a turno Domenico e Teo con un po' più di curiosità e meno imbarazzo.
«Ciao! Io mi chiamo Domenico! Hai la nostra età! Saremo in classe insieme!» ;
«Si! E adesso saremo pari! L'anno scorso le femmine erano più di noi, nei giochi a squadre vincevano sempre per il numero!» L'osservazione di Teo colpì Domenico, soprattutto perché non credeva che il numero dei maschi cambiasse qualcosa sugli esiti di una sfida in quella specifica classe;
«Ti vuoi mettere nel banco con me e Mimì? Se ti va...» Teo non sapeva come mai quel giorno avesse tutto quello spirito d'iniziativa in corpo. Forse perché era il primo giorno di scuola, era appena tornato in quel posto che tanto gli piaceva, ma forse era soprattutto perché aveva incontrato qualcuno con l'aria di chi si sentiva diverso dagli altri. Come si sentiva lui.

giovedì 18 novembre 2010

foto.


Tornando nella loro camera i due bambini si scambiavano occhiatacce. In Lydia brillava una fiamma di ferocia, avrebbe voluto avere maggior sostegno, Teo d'altra parte era abbastanza sconsolato da placare la voglia della bambina di andargli contro. Lui capiva l'irritazione di lei, lei sapeva che se lui non sprecava troppe parole non era per codardia.
Lydia era la sola al mondo a conoscere quel lato di Teo, e forse era per gelosia, ma nemmeno lei ne parlava preferiva vederlo come un segreto. Inoltre, anche se qualche settimana prima il pensiero non le aveva mai nemmeno sfiorato la mente, cominciava ad accorgersi che forse non comprendeva l'amico fraterno come aveva sempre fatto. Per rispetto a quel lato taciturno, ma anche per spirito di emulazione di ciò che secondo lei era un lato molto interessante, Lydia non prese mai l'argomento con nessuno, men che meno con Teo. Per di più era una bambina che amava i segreti, averne qualcuno la faceva sentire in possesso di grandi tesori. Quello che nessun'altra persona conosce, anche un bambino capisce che è qualcosa di prezioso; Se si è un po saggi, o semplicemente abbastanza sensibili, comprendere che certe cose e meglio non renderle di pubblico dominio è qualcosa che diventa presto parte del modo in cui ci si confronta con il mondo. 
Che Teo riuscisse a capire cose di cui nessuno gli aveva mai parlato, o quella ancora più importante di riuscire a spiegarla a chiunque glielo chiedesse, era un grandissimo dono che non spettava di certo a Lydia raccontare a qualcuno. D'altra parte, una bambina sveglia capisce in fretta che ciò che lei non possiede non è strano, ma speciale e se non fosse stato il suo amico ad essere speciale, forse era lei ad essere troppo semplice.

Quando i due bambini ebbero finito di prepararsi presero gli zainetti semi vuoti, i più leggeri che avrebbero portato con se in tutto l'anno, e li portarono al piano di sotto. Scesero nel vialetto e si avvicinarono alla macchina aspettando Virginia che li avrebbe portati a scuola. Nell'attesa guardarono verso la casetta bianca, quella che in città sarebbe stata definita una villetta in quel piccolo borgo non era molto diversa da un'altra. Il tetto con le tegole rossastre e il largo balcone che collegava tra loro le camere del piano superiore, la ringhiera rossa era un po scolorita ma in quel fine settimana Luigi si era ripromesso di darle una rinfrescata di vernice, come alla fine di ogni estate. Era una giornata di sole e il vento trasportava il profumo del cespuglio di rosmarino che era stato piantato vicino al muretto che delimitava la proprietà. I due monelli amavano quel profumo.
Quando anche Virginia uscì per il portone verde del numero 87 di Via dell'arco Romano i bambini si ripresero dal torpore di quel momento e incitarono la donna a sbrigarsi, lei corse verso di loro e ci girò attorno e li prese per le spalle, stringendoli a se, mentre Luigi scattava una foto ai tre prima che qualcuno potesse accorgersi e lamentarsi di quello che stava accadendo.

Teo sarebbe uscito con gli occhi molto stretti, quasi chiusi, in un'espressione che si sarebbe detta offesa o forse anche arrabbiata. Purtroppo si era accorto del comportamento insolito della Zia, già visto molte volte durante l'estate, ma non riusciva a vedere dove si fosse nascosto il padre, e anche se immaginava fosse nascosto dietro la porta c'era la possibilità che fosse appostato dietro una finestra. Cercarlo gli donò uno sguardo molto tagliente.

Luigi sorrise guardando l'espressione del figlio nello schermo della fotocamera, l'omaccione di un tempo forse non sarebbe riuscito a muoversi così in fretta, o anche solo nascondersi dietro la porta con la macchina fotografica pronta allo scatto senza che i suoi fianchi svelassero l'inghippo. Ma gli anni che seguirono la nascita di Teodoro erano stati duri e avevano chiesto il loro tributo sia al fisico che all'anima. A Luigi la vita aveva portato via parecchio, qualcuno potrebbe forse dire i chili con disarmante superficialità, ma non erano le sue larghe forme a rendere la sua voce e la sua risata quel che erano. Non quanto la gioia serena, che quel ventre esagerato, lasciava appena immaginane l'immensità di ciò che gli era stato dato.

Prima che giungesse anche il suo turno di uscire di casa, Luigi scaricò le foto prima sul computer e poi su una “pen-drive” che portava appesa al portachiavi. Messi i ricordi al sicuro era tempo di uscire a sbrigare la sua parte di commissioni, per poi concedersi un po di meritato riposo dalla dura nottata di lavoro da cui era tornato appena qualche ora prima. Prima di uscire passò in camera sua a recuperare il portafogli e a fare una carezza alla fotografia di Camilla. Il tempo di un mesto sorriso ed era già fuori di casa.




martedì 16 novembre 2010

Colazione


É mattina, e come su tutta l’Italia, il sole sorge timido per paura di disturbare i poveri bambini che nel fresco mattino di settembre si preparano a tornare a scuola. I tiepidi raggi vanno a baciare anche le pareti bianche del numero 87 di Via Arco Romano, piccola via di soli numeri dispari i cui pari sono in progetto ormai da anni. Per fortuna c'è un muretto di blocchetti a ricordare che prima o poi quell'erba alta sparirà. Nell'attesa però i bambini del numero 87, che in questo momento ancora dormono nelle loro stanze, ne hanno fatto il loro campo giochi per tutta l'estate. Cacciando insetti e raccogliendo “campioni di piante” da analizzare in un fantomatico laboratorio ( due pile di mattoni unite da un tavolone di legno su cui sopra erano stati messe lenti di ingrandimento, contenitori ricavati da bottiglie di plastica tagliate a metà, materiale elettronico ricavato da radio e giocattoli rotti) che dava a Teo l'illusione di non fare “cose da femminuccia” mentre metteva da parte e riportava su un quadernino i fiori che Lydia raccoglieva e gli insetti da lui catturati.

Contrariamente a ciò che era diventato norma in quella casa, questa mattina i due monelli scattavano giù dai loro letti come lampi già dal primo ruggito di Luigi: 
« È Ora di svegliarsi!!» 
Diceva, ricordando la parlata di un sergente al suo battaglione di reclute. 
« Sono già in piedi Zio Gigi! » 
Cantilenava un manico di scopa dai lunghi capelli corvini, sciolti e ben pettinati, che cadevano dritti davanti al viso a qualche decina di centimetri sotto le spalle mentre, ancora nel suo pigiama rosa, scendeva le scale che avrebbero portato alla cucina. 
«Buongiorno papà...» 
Diceva invece Teo, sorridendo al genitore con quell'aria furba dei bambini che già sanno, e si regolano di conseguenza, quello che passa nella testa dei genitori.
Luigi spettinava, per quanto fosse possibile fare peggio, la testa del figlio mentre passandogli davanti andava a dare il buongiorno a Virginia che tirava fuori dal microonde il contenitore del latte per riversarlo nelle tazze, quella con un fondo di caffè per Teo e quella con la cioccolata in polvere per Lydia; La bimba girava a due mani i cucchiaini nelle tazze mentre il maschietto spegneva la tv, sembravano essersi sincronizzati. Teo prese la parola:
«Dobbiamo parlare!».
Virginia e Luigi si avvicinarono per stare ad ascoltare i loro figli; quando due bambini di 8 anni saltano fuori con una affermazione del genere è il momento di serrare i ranghi e prepararsi alla battaglia: perché sarà fatica e sudore per entrambe le fazioni.
Inoltre i due sapevano già che quella mattina avrebbero dovuto affrontare la discussione, anche se avevano cercato di non dare importanza alla cosa con qualche domanda investigatrice tipo “dormito bene?”
«Vogliamo tornare a dormire nella stessa stanza!» Lydia aprì il fuoco per prima
«Scordatevelo, state crescendo e questa separazione l'abbiamo rimandata già abbastanza»
«Rimandiamola ancora, stiamo crescendo forse, ma ancora non siamo cresciuti! Non sono mica più alto di due notti fa? E abbiamo dormito insieme! »
«Lo sai»  fece Luigi «che non è di altezza che parliamo... »
«… non potrete dormire nella stessa stanza per sempre, ed è meglio farlo adesso che rimandarlo ancora!» concluse Virginia mentre serafica tirava fuori un tovagliolo dalla tasca per darlo a Lydia, la quale si preparava a parlare con le labbra sporche di latte al cioccolato.
«Inoltre questa aria battagliera già da mattino presto mi piace! farvi dormire separati a qualcosa è servito!» concluse la Donna.
«Ma io senza Teo ho gli incubi! »
«Si, anche io! »
«Davvero? e cosa avete sognato?» chiese Virginia ben sapendo che la risposta sarebbe stata un lungo silenzio.
«Bell'idea gli incubi ! Ma voi due avete gli incubi anche quando mangiate una fetta di pizza con cipolle! E poi ieri sera abbiamo sentito la storia che leggevate... non è della camera la colpa dei brutti sogni.»
«Ok, Ma chi ammazza i ragni che entrano dalla finestra di notte senza Teo?» incalzò Lydia con il fare di chi crede di saperla lunga
«Zio Gigi? Dice sempre che gli fanno pena e non li tocca, ma ne ha più paura di me!»
Gli adulti risero di gusto, anche Gigi che però era variato al rosso, anche se dissimulò gonfiando le guance e tossendo forte; Virginia era sempre un po nostalgica quando sentiva la risata di Luigi, ora così normale e vuota, come la risata di sottofondo delle vecchie sit-com, incapace di raggiungere qualcosa di più delle semplici orecchie.
«Andiamo, sei capacissima di uccidere sia ragni che draghi piccola Lydia... »disse Virginia, con quel suo modo dolce, che ad ogni parola apriva ferite e le rimarginava al tempo stesso.
«…sappiamo di che parlo vero?»
«Non c'è modo di farvi cambiare idea? » chiesero all'unisono i due monelli.
«Potrete ritornare a dormire nella stessa stanza quando vi sposerete» concluse Virginia.
«Mamma!!! » sbottò Lydia come se la parola le uscisse di gola assieme alla colazione ancora nemmeno assaggiata. Teo si limitò a rabbrividire in silenzio, con lo sguardo rivolto verso Virginia, intento a scrutarne il volto mentre delle ombre le si muovevano dentro gli occhi in seguito alla battuta appena fatta.
Teodoro era un bambino molto attento al mondo attorno a se, studiava tutto ciò che si muoveva e cercava di capirlo, ma era abbastanza furbo da chiedersi anche perché altre cose stessero ferme, e tentava di spiegarselo. Pochi sono gli adulti che andrebbero a parlare con un bambino di cosa è il tempo, lo spazio, la velocità, le forze e quindi difficilmente qualcuno si sarebbe mai accorto della sua rara attenzione e capacità di analisi. Inoltre non faceva mai molte domande, non chiedeva agli altri soluzioni per i problemi a cui non riusciva a dare soluzione, aspettava che il mistero gli si svelasse da solo. Anche per questo non sprecava le parole, preferiva tenerle per se più che lasciare che qualcuno potesse inciamparvi sopra.

Finita la colazione Luigi sparecchiò il tavolo rotondo della cucina mettendo tazze e posate nel lavabo, così mentre Virginia andava a prepararsi per il lavoro lui sbrigava qualche faccenda che potesse rendere più facile la vita domestica. Delle volte due piatti sporchi potevano diventare l'innesco di qualche spiacevole reazione a catena anche nelle più affiatate famiglie. E per quanto bizzarra, quella era una delle più serene convivenze che si potessero ammirare al mondo. Virginia era molto felice mentre indossando la sua camicetta raccontava della discussione appena avuta al piano di sotto alla foto del marito estinto:

«Ciao Fede, oggi è sia ultimo giorno di lavoro che primo di scuola! sta diventando più chiacchierona sai? E che lingua! Taglia l'aria come facevi tu, ancora un paio d'anni e discutere con lei sarà completamente inutile... e identica a te, una lottatrice... potrebbe distruggere il mondo, ma credo gli serva una buona ragione prima... un bacio, a stasera... ti racconterò il resto!»

lunedì 15 novembre 2010

Teodoro


È Il 22 settembre 1999, è sera, ed il buio è sceso sul bel paese. Mentre Lydia piangeva nella sua carrozzina, Virginia correva attraverso i corridoi dell'ospedale lasciato solo da pochi giorni, Luigi accendeva l’ennesima sigaretta della giornata più lunga della sua vita, affacciato alla finestrella del corridoio guardava le prime stelle accendersi nel cielo mentre sbuffava fuori dense nuvole grige, cercando a non pensare a cosa stava accadendo a pochi passi da lui, tappandosi le orecchie e riflettendo su come nel resto del mondo tutto sembrava passare come se fosse stato un giorno qualunque. All'ingresso del primo bagliore lunare nella stanza un vagito di un bimbo che lamenta il suo dolore, attraversa la porta e arriva all'orecchio del suo papà. Tutta la sua mole si fa sentire nel momento in cui due infermiere tentano di fermarlo, le poverine gli rimbalzano addosso come birilli, birilli parlanti e imbronciati; Con la delicatezza di un uomo molto più fine di lui, Luigi si porta al capezzale della moglie che stringe tra le braccia un birbante dagli occhi grigi e sguardo stanco, lo stesso sguardo della donna che l'abbraccia e la sorregge, ed è impossibile dire chi tra loro due sia la più stanca. «Ciao Teo, era ora che ti facessi vedere!» le prime parole di un padre ad un figlio.
Poi la mamma parla al papà, piange, e lui si accorge per la prima volta di essere l'unico felice nella stanza.

sabato 13 novembre 2010

Lydia


È il 9 settembre del 1999, è sera, ed il buio comincia a scendere sul bel paese. Il sole resiste un attimo per accarezzare con un suo raggio, infiltrato tramite una tapparella rotta, la manina di una bimba che per la prima volta si ritrova nel petto la sensazione di una fiamma, l'aria è troppo fresca e le brucia i polmoni. La luce è troppo forte per poter tenere gli occhi aperti ma attraverso le palpebre delle macchie rosse e bianche riescono ancora a passare.
Lei urla però! Vuole buttar fuori tutta l'aria che le sta facendo scoppiare il petto! Lamenta il dolore di cui fino ad un attimo prima non aveva mai fatto esperienza, per poi quietarsi al tocco sicuro e delicato di due braccia stanche, ma abbastanza forti da sorreggere il peso di quella creatura.

«Ciao Lydia»

Disse Virginia, i suoi capelli neri venivano raccolti dietro le orecchie da una ostetrica molto premurosa così che non finissero addosso alla bambina. Un allegro vociare di complimenti e auguri avvolse la testa delle due che sembravano però non sentire niente godendosi il momento e la sua perfezione.
Un attimo prima che Lydia gli venisse tolta, Virginia sorrise giustamente soddisfatta della sua impresa, concedendosi una lacrima, ma una sola prima di cadere addormentata.
Un sonno senza sogni l'accompagno per gran parte della notte, giusto un attimo prima di svegliarsi però una figura avvolta da una toga bianca bordata d'azzurro le apparse opaca davanti dicendo:

« Grazie! Ora, Virginia Lanotte, svegliati! devi occupati di lei!»

Un attimo dopo l'infermiera entrava in stanza con Lydia pronta per ricevere la poppata da una stralunata e confusa neo-mamma.

Virginia Lanotte è una donna forte, il tipo di forza che hanno tutte le donne Italiane. Quelle vere! Una italiana capace di schiaffeggiare un uomo verde di rabbia, farlo sbiancare con il solo sguardo, lasciandolo poi a riflettere da solo rosso in viso: un po’ per la vergogna un po’ per la sberla.
È una sberla tricolore quella della sua mano.
Era il tipo di donna che riusciva sempre a farsi voler bene, e lo stesso bene rimandava al suo prossimo, qualità che non passò inosservata agli occhi chiari di quell'uomo che poi divenne suo marito. Un ragazzo moro, giovane e intelligente, a vederlo mai si sarebbe detto che fosse un carabiniere, probabilmente per quel suo sguardo curioso e attento da ragazzino.

Quando Il signor Niedda entrò nella stanza, era come se tutti sapessero già del suo arrivo, il suo largo girovita annunciava il suo ingresso ovunque entrasse con qualche attimo di vantaggio.
Luigi Niedda, era un omaccione grosso e brutto, che per sua fortuna godeva di un volto paffuto e di modi semplici, questo rabboniva un po' il suo aspetto, che per quanto fosse disarmonico nei tratti, la sua mancanza di bellezza permetteva comunque di amarlo. Virginia esausta sorrise mesta mostrandogli la bimba che pacifica si lasciava allattare nella quiete della stanza.

« E tutta suo padre...»

La sua voce profonda e calma riempiva la stanza, era come se avessero acceso un fuoco davanti al letto, con tanto di fornello per la caffettiera. Ogni parola stregava l’atmosfera, tanto che perfino quella spoglia stanza dalle mura bianche e azzurre sembrava diventata più dolce.

«...ha la sua stessa espressione ora che è calma ».

«Dovevi esserci quando me l'hanno data per la prima volta! Sembrava Federico il giorno che l'ho scoperto a montare la culla in camera nostra, mi guardava come per dire “non è come sembra!”»

la sua voce si fece malinconica parola dopo parola, e quello che all'inizio era un sorriso mutò così in fretta da credere che fosse una semplice e illusoria ombra.

«Dovrei sentirmi in colpa secondo te? »,

Domandò Virginia, Luigi si irrigidì per un attimo, perplesso, non capendo se era a lui che stava rivolgendosi o alla sua bimba.

« Per cosa? »

Rispose tirandosi su la cintura dissimulando l’attimo di incertezza rassicurandosi della tenuta delle larghe braghe.

« Per essere così felice! Sono passati solo 9 giorni e oggi mi sembra di essere io quella ad essere venuta al mondo. E tutto è bello qua giù...»

« Se ora Camilla fosse qui ad ascoltarti ti direbbe, che se non riesci ad essere felice per Lydia, di prepararti! Chiudere gli occhi e salutare il mondo! Perché ti sta per strozzare con le sue stesse mani!»

« Tua moglie è una sadica, violenta e pazza donna! »

Si finse inorridita per un istante, poi quasi scoppio a ridere, trattenendosi solo per il bene della figlia, temeva che ridendo il latte le sarebbe andato di traverso... sorridendo tra se e se per ciò che si era immaginata “eccola! La paranoia da mamma chioccia” pensò, e subito dovette cambiare discorso per non trasformarsi in una fontana di lacrime:
« Come sta? Dove è ora? » Si affrettò ad aggiungere Virginia prima che i ricordi le piombassero addosso con tutto il loro spropositato peso.
« È stata ricoverata anche lei, ormai manca poco, le spese le paga l'assicurazione quindi noi ci facciamo ricoverare già da oggi! Appena assegnata la camera verrà anche lei a romperti le scatole! » e giù a ridere con la bocca larga e tutti i denti bene in mostra. La risata di Luigi era speciale, non esisteva stanza al mondo che ne sopportasse il peso, muri e finestre ridevano con lui.
Anche solo accennare il riso lo faceva tremare come un enorme budino, uno spropositato dessert al caramello; Luigi è nato però con la sfortuna di possedere due luminosi occhi azzurro chiaro, quasi grigi, troppo freddi per una persona come lui: ne avrebbe meritati un bel paio color nocciola! O almeno questo era sempre stato il pensiero di Virginia.

Poco dopo Camilla era nella stanza, il suo pancione ancora non rivaleggiava con quello del marito seppur il passeggero al suo interno fosse in dirittura d'arrivo. Abbracciò l'amica come se volesse sollevarla dal letto, cosa che Luigi si preoccupò subito di farle notare. Lei liquidò le premure del marito scherzando sulla sua “cavalleria della domenica”. Se voleva preoccuparsi del suo stato doveva farlo a tempo debito e poteva pulire il pavimento di casa mentre era all'ottavo mese, e poco importava che per farlo lei, usava la scusa delle voglie per allontanarlo da casa, potendo poi agire di nascosto.

La giornata passò, trascinata dalla felicità per la nuova vita, e così per i dodici giorni che seguirono sembrava la gioia voler riproporsi con vestiti sempre diversi e sempre bellissimi.

venerdì 12 novembre 2010

Prologo


C'è un sogno che noi, tutti noi facciamo. Sbuchiamo dal suolo come fiori di luce, al centro di una sala, o una grande stanza, o una grotta. Attorno a noi il pavimento si apre per accogliere il nostro arrivo per poi chiudersi su se stesso spegnendo la luce che ha dato noi la vita: è quello il momento in cui noi, tutti noi capiamo di essere parte di quel posto.
Questa parte e uguale per noi tutti.
Qualche Gitano però associa la visione ad un sapore, un gusto particolarmente ricercato, altri ad un suono, una armonia, tal volta accompagnata da un canto corale...in pochi sentono gli odori, o il dolore, ancor meno il piacere o l'immagine stessa della propria voce.

Si dice che coloro che sentono la musica sono più fortunati: comprendono da subito che dietro tutto c'è l'opera di qualcosa di più grande di loro, perché c’è verità solo in essa! Quando fai il sogno, capisci! Non esiste musica fasulla, se vi è armonia, non vi è menzogna! La musica ti fa sentire protetto, al sicuro, cullato… ti spiega con parole che non puoi accettare consciamente ciò che lo spirito ha già capito: questo è il luogo a cui appartengo, questa è casa.

Ovviamente non è di quella casa, dove con leggerezza si dice di appartenere, che sto parlando! Ma di quel luogo che spero tutti prima o poi incontriate! Quello dove un giorno, in gioventù o in vecchiaia, d'un tratto, avete ricevuto una illuminazione! Vi siete commossi, aperti al mondo! Avete realizzato quel posto come vostro! avete rimesso il vostro buon cuore a lui! Godendovi il momento fino all’ultimo istante. La vi è un brandello custodito di voi, e li rimarrà, fino al giorno in cui lo dovrete riprendere.

Ma per noi, NOI, quel posto non è su questa terra, ne in nessun'altra: noi siamo i Gitani che viaggiano tra la vita ed il sogno, e sono le braccia di Morfeo le uniche abbastanza forti da aprire il portone del nostro regno. Noi siamo la coscienza, noi siamo lo spirito, noi siamo gli antenati e i discendenti!

Voi tutti che oggi state per svegliarvi alla vita, preparatevi per il risveglio al sogno.