venerdì 19 novembre 2010

Primo giorno di scuola



Lydia e Teo frequentavano oramai il terzo anno della scuola primaria e tutto ciò che riguardava quel posto, per loro, era assolutamente fantastico.
La prima cosa, seppur banale era l'aspetto. Anche l'occhio vuole la sua parte e tutto in quel edificio trovava l'approvazione nei gusti dei due bambini; sebbene le mura e la facciata non fossero nelle loro migliori condizioni, il suo insieme di macchie, solchi e di piante rampicanti era in qualche modo armonico.
All'inizio il grigio e il verde scuro spaventano sempre un poco, la prima volta che varcarono il cancello principale dell'edificio i due non smisero di tenere strette le mani dei genitori. Il terreno fangoso dentro le aiuole in cui crescevano alberi di betulla, lunghi e dritti, con rami secchi che non davano nessuna speranza di potervici arrampicare e cespugli di rovi che volevano annunciare dolore e sofferenza per chi volesse giocarvi vicino. I Muri erano sporchi tristi e vecchie, le finestre erano molto piccole rispetto al portone e le grondaie rotte facevano colare sporcizia lungo le pareti ad ogni pioggia. ci volle un grande coraggio solo ad osservare quel edificio per più di cinque secondi senza nascondere la faccia dietro la giacca di Luigi.

Ma ormai erano passati 3 anni e i due bambini non sapevano più cosa gli aveva spaventati. Ritornare riportava alla mente le immagini di cosa aveva fatto in modo che quel posto diventasse uno dei loro preferiti. Quando la macchina arrivò nei pressi dell'edificio Lydia ricordò quando Teo le spiego che le macchie che scendevano giù scure disegnando all'edificio una capigliatura simile a quella del mostro di Frankenstein non erano altro che macchie causate dalla pioggia e della sporcizia presente sul tetto, così anche se le finestre continuavano a sembrare degli strani occhi quadrati, avevano smesso di guardarla in modo cattivo. Teo invece non vedeva l'ora di cercare tra i rovi qualche mora che la vecchia bidella, la signora Rosa, avesse dimenticato sulla pianta ripensando che se non fosse stato per Lydia lui non avrebbe mai provato nemmeno a toccare. Come il muro di pietra cominciò a coprirsi di piante rampicanti, annunciando l'avvicinarsi dell'ingresso, i due bambini cominciarono già a pregustare tutto ciò che quel primo giorno avrebbe riserbato per loro.

Ma mentre Virginia parcheggiava in doppia fila davanti al cancello, chiese una cortesia ai due passeggeri:
«Piccoli, vi dispiace se non aspetto l'ingresso oggi? Anche se è il primo giorno ho proprio bisogno di arrivare un po prima per iniziare a ritirare le mie cose in ufficio... vi dispiace? Mi raccomando... sapete come comportarvi vero? ».
«Si mamma, non preoccuparti!» disse Lydia;
« E poi siamo grandi ormai...» aggiunse Teo con tono molto sicuro di se.
Virginia sorrise. Le piaceva che i suoi bambini fossero ansiosi di diventare indipendenti, e anche se non le piaceva troppo pensare che stessero crescendo, l'idea che fossero grandi era piacevolmente nuova.
«Ok, allora fate come i grandi, scendete tutti e due dal lato destro e fate i bravi!! ci vediamo all'uscita! Ma prima, bacio...».
A turno, prima Lydia poi Teo, diedero un bacio sulla guancia a Virginia e la salutarono dal marciapiede una volta scesi mentre lei si allontanava lungo la via.
Una volta dentro il cortile scolastico ai due successe ciò che succedeva anche ai migliori fratelli dall'inizio dei tempi: Lydia andrò a salutare le amiche, Teo a salutare gli amici e senza neanche dirsi ciao ognuno raggiunse le rispettive compagnie.

Dopo le vacanze le prime chiacchierate erano facili. Così mentre Domenico, il compagno di banco di Teo parlava di come aveva passato due settimane al mare a pescare con il padre pesci grandi quanto le sue braccia permettevano di allargarsi, Teo ascoltava ma guardava oltre: cercando qualche riflesso bluastro tra i cespugli di rovi nelle larghe aiuole terrose. Poi un bambino dalla faccia seria e l'aria stanca si appoggiò al muro vicino al portoncino che dal cortile avrebbe portato all'interno della scuola.
«Mimì, tu lo conosci?» Teo interruppe il racconto mentre Domenico si afferrava il polso destro con l'altra mano muovendo il braccio come un serpente;
«chi? Ah, no... ma stavi ascoltando?» gli rispose l'amico.
«Si, una murena che tuo padre aveva catturato e che credeva morta ha cominciato ad agitarsi nel retino e ha provato a morderlo sulla coscia... dopo voglio sapere come è andata a finire, ma guardalo... non ti sembra un po' triste? »;
«un po' si...»;
«Vieni?» chiese, ma senza accorgersene aveva già messo un piede davanti all'altro in direzione del ragazzo. Domenico gli stava dietro ma non molto entusiasta, data la facilità con cui gli fu rubata la scena.
«Ciao!» Disse Teo presentando una mano tesa al ragazzo dall'aria triste. Aveva un visto dai tratti duri, con una mascella grossa e una fronte stretta con dei capelli castano chiaro che crescevano dritti sopra di essa. Gli occhi grigi, ma di un colore più scuro di quelli di Teo, si fecero un po' più piccoli mentre afferrava debolmente la mano del ragazzo che lo salutava con tanto entusiasmo.
«Ciao...» La risposta del ragazzo fece brillare gli occhi di Teo facendoli sembrare forse ancora più chiari. L'accento era particolare, non era italiano ma era familiare, l'aveva già sentito nella voce di un cattivo in un film che aveva visto con suo padre almeno quattro volte...
«sei tedesco? Vieni dalla Germania?»
«Si! Che.. » Prima sgranò gli occhi poi subito abbassò lo sguardo interrogandosi su quale fosse la cosa migliore da chiedere, il modo in cui farlo e anche se non riusciva a realizzare la sua paura, come fare a dirlo senza sembrare ancora più diverso. Una paura che Teo conosceva. Stupendosi a sua volta dell'impeto con cui incalzò il tentennante straniero, disse:
«Io sono Teo! Quanti anni hai?»
«Octo... Sono Alessandro..» sollevò un altro po lo sguardo e cominciò a fissare a turno Domenico e Teo con un po' più di curiosità e meno imbarazzo.
«Ciao! Io mi chiamo Domenico! Hai la nostra età! Saremo in classe insieme!» ;
«Si! E adesso saremo pari! L'anno scorso le femmine erano più di noi, nei giochi a squadre vincevano sempre per il numero!» L'osservazione di Teo colpì Domenico, soprattutto perché non credeva che il numero dei maschi cambiasse qualcosa sugli esiti di una sfida in quella specifica classe;
«Ti vuoi mettere nel banco con me e Mimì? Se ti va...» Teo non sapeva come mai quel giorno avesse tutto quello spirito d'iniziativa in corpo. Forse perché era il primo giorno di scuola, era appena tornato in quel posto che tanto gli piaceva, ma forse era soprattutto perché aveva incontrato qualcuno con l'aria di chi si sentiva diverso dagli altri. Come si sentiva lui.

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