Lydia e Teo frequentavano oramai il
terzo anno della scuola primaria e tutto ciò che riguardava quel
posto, per loro, era assolutamente fantastico.
La prima cosa, seppur banale era
l'aspetto. Anche l'occhio vuole la sua parte e tutto in quel edificio
trovava l'approvazione nei gusti dei due bambini; sebbene le mura e
la facciata non fossero nelle loro migliori condizioni, il suo
insieme di macchie, solchi e di piante rampicanti era in qualche modo
armonico.
All'inizio il grigio e il verde scuro
spaventano sempre un poco, la prima volta che varcarono il cancello
principale dell'edificio i due non smisero di tenere strette le mani
dei genitori. Il terreno fangoso dentro le aiuole in cui crescevano
alberi di betulla, lunghi e dritti, con rami secchi che non davano
nessuna speranza di potervici arrampicare e cespugli di rovi che volevano annunciare dolore e sofferenza per chi volesse
giocarvi vicino. I Muri erano sporchi tristi e vecchie, le finestre erano molto piccole rispetto al portone e le grondaie rotte facevano colare sporcizia lungo le pareti ad ogni pioggia. ci volle un grande coraggio solo ad osservare quel edificio per più di cinque secondi senza nascondere la faccia dietro la giacca di Luigi.
Ma ormai erano passati 3 anni e i due bambini non sapevano più cosa gli aveva spaventati. Ritornare riportava alla mente le immagini di cosa aveva fatto in modo che quel posto diventasse uno dei loro preferiti. Quando la macchina arrivò nei pressi dell'edificio Lydia ricordò quando Teo le spiego che le macchie che scendevano giù scure disegnando all'edificio una capigliatura simile a quella del mostro di Frankenstein non erano altro che macchie causate dalla pioggia e della sporcizia presente sul tetto, così anche se le finestre continuavano a sembrare degli strani occhi quadrati, avevano smesso di guardarla in modo cattivo. Teo invece non vedeva l'ora di cercare tra i rovi qualche mora che la vecchia bidella, la signora Rosa, avesse dimenticato sulla pianta ripensando che se non fosse stato per Lydia lui non avrebbe mai provato nemmeno a toccare. Come il muro di pietra cominciò a coprirsi di piante rampicanti, annunciando l'avvicinarsi dell'ingresso, i due bambini cominciarono già a pregustare tutto ciò che quel primo giorno avrebbe riserbato per loro.
Ma ormai erano passati 3 anni e i due bambini non sapevano più cosa gli aveva spaventati. Ritornare riportava alla mente le immagini di cosa aveva fatto in modo che quel posto diventasse uno dei loro preferiti. Quando la macchina arrivò nei pressi dell'edificio Lydia ricordò quando Teo le spiego che le macchie che scendevano giù scure disegnando all'edificio una capigliatura simile a quella del mostro di Frankenstein non erano altro che macchie causate dalla pioggia e della sporcizia presente sul tetto, così anche se le finestre continuavano a sembrare degli strani occhi quadrati, avevano smesso di guardarla in modo cattivo. Teo invece non vedeva l'ora di cercare tra i rovi qualche mora che la vecchia bidella, la signora Rosa, avesse dimenticato sulla pianta ripensando che se non fosse stato per Lydia lui non avrebbe mai provato nemmeno a toccare. Come il muro di pietra cominciò a coprirsi di piante rampicanti, annunciando l'avvicinarsi dell'ingresso, i due bambini cominciarono già a pregustare tutto ciò che quel primo giorno avrebbe riserbato per loro.
Ma mentre Virginia
parcheggiava in doppia fila davanti al cancello, chiese una cortesia
ai due passeggeri:
«Piccoli, vi dispiace se non aspetto
l'ingresso oggi? Anche se è il primo giorno ho proprio bisogno di
arrivare un po prima per iniziare a ritirare le mie cose in
ufficio... vi dispiace? Mi raccomando... sapete come comportarvi
vero? ».
«Si mamma, non preoccuparti!» disse
Lydia;
« E poi siamo grandi ormai...»
aggiunse Teo con tono molto sicuro di se.
Virginia sorrise. Le piaceva che i suoi
bambini fossero ansiosi di diventare indipendenti, e anche se non le
piaceva troppo pensare che stessero crescendo, l'idea che fossero
grandi era piacevolmente nuova.
«Ok, allora fate come i grandi,
scendete tutti e due dal lato destro e fate i bravi!! ci vediamo
all'uscita! Ma prima, bacio...».
A turno, prima Lydia poi Teo, diedero
un bacio sulla guancia a Virginia e la salutarono dal marciapiede una
volta scesi mentre lei si allontanava lungo la via.
Una volta dentro il cortile scolastico
ai due successe ciò che succedeva anche ai migliori fratelli
dall'inizio dei tempi: Lydia andrò a salutare le amiche, Teo a
salutare gli amici e senza neanche dirsi ciao ognuno raggiunse le
rispettive compagnie.
Dopo le vacanze le prime chiacchierate
erano facili. Così mentre Domenico, il compagno di banco di Teo
parlava di come aveva passato due settimane al mare a pescare con il
padre pesci grandi quanto le sue braccia permettevano di allargarsi,
Teo ascoltava ma guardava oltre: cercando qualche riflesso bluastro
tra i cespugli di rovi nelle larghe aiuole terrose. Poi un bambino
dalla faccia seria e l'aria stanca si appoggiò al muro vicino al
portoncino che dal cortile avrebbe portato all'interno della scuola.
«Mimì, tu lo conosci?» Teo
interruppe il racconto mentre Domenico si afferrava il polso destro
con l'altra mano muovendo il braccio come un serpente;
«chi? Ah, no... ma stavi ascoltando?»
gli rispose l'amico.
«Si, una murena che tuo padre aveva
catturato e che credeva morta ha cominciato ad agitarsi nel retino e
ha provato a morderlo sulla coscia... dopo voglio sapere come è
andata a finire, ma guardalo... non ti sembra un po' triste? »;
«un po' si...»;
«Vieni?» chiese, ma senza
accorgersene aveva già messo un piede davanti all'altro in direzione
del ragazzo. Domenico gli stava dietro ma non molto entusiasta, data la facilità con cui gli fu rubata la scena.
«Ciao!» Disse Teo presentando una
mano tesa al ragazzo dall'aria triste. Aveva un visto dai tratti duri, con una mascella grossa e una fronte stretta con dei capelli castano
chiaro che crescevano dritti sopra di essa. Gli occhi grigi, ma di un colore più scuro di quelli di Teo, si fecero un po' più piccoli mentre afferrava debolmente la mano del
ragazzo che lo salutava con tanto entusiasmo.
«Ciao...» La risposta del ragazzo
fece brillare gli occhi di Teo facendoli sembrare forse ancora più
chiari. L'accento era particolare, non era italiano ma era familiare,
l'aveva già sentito nella voce di un cattivo in un film che aveva
visto con suo padre almeno quattro volte...
«sei tedesco? Vieni dalla Germania?»
«Si! Che.. » Prima sgranò gli occhi
poi subito abbassò lo sguardo interrogandosi su quale fosse la cosa
migliore da chiedere, il modo in cui farlo e anche se non riusciva a
realizzare la sua paura, come fare a dirlo senza sembrare ancora più diverso. Una paura che Teo conosceva. Stupendosi a sua volta
dell'impeto con cui incalzò il tentennante straniero, disse:
«Io sono Teo! Quanti anni hai?»
«Octo... Sono Alessandro..» sollevò
un altro po lo sguardo e cominciò a fissare a turno Domenico e Teo
con un po' più di curiosità e meno imbarazzo.
«Ciao! Io mi chiamo Domenico! Hai la nostra
età! Saremo in classe insieme!» ;
«Si! E adesso saremo pari! L'anno
scorso le femmine erano più di noi, nei giochi a squadre vincevano
sempre per il numero!» L'osservazione di Teo colpì Domenico,
soprattutto perché non credeva che il numero dei maschi cambiasse
qualcosa sugli esiti di una sfida in quella specifica classe;
«Ti vuoi mettere nel banco con me e
Mimì? Se ti va...» Teo non sapeva come mai quel giorno avesse tutto
quello spirito d'iniziativa in corpo. Forse perché era il primo
giorno di scuola, era appena tornato in quel posto che tanto gli
piaceva, ma forse era soprattutto perché aveva incontrato qualcuno
con l'aria di chi si sentiva diverso dagli altri. Come si sentiva
lui.
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