domenica 15 maggio 2011

Stelle di stoffa.


  • «Che succede li?»
Chiese Teo indicando con la mano i due volatili e riprendendo ad usare il suono come mezzo di comunicazione tra lui e la sua voce. I due si trovavano in cima ad una piccola collina, o per essere più precisi un pianoro, non dissimile a quello dove si trovava anche lui, in linea d'aria la distanza che li separava non era superiore ad un campo da calcio.
  • «Guai, due voci combattono. » rispose Teogene che, nonostante fosse un gufo, sembrava avere un'aria ancora più accigliata di quanto la natura già non volesse che fosse.
  • «Anche quelle sono voci? Così piccole?» non riuscì a trattenere il suo stupore, se gli era sembrato strano vedere un gufo di dodici metri, ancora di più era vedere la differenza tra lui ed altri esseri come lui.
  • «quelle sono le ultime voci al mondo che chiamerei piccole. Andiamo, dobbiamo fermarli...»
  • «mi puoi prendere in groppa?»
  • «Perché? Correndo farai prima...» disse Teogene spalancando le sue ali, grandi come tre vagoni di treno, per spiccare il volo proiettando la sua larga ombra sul verde prato che si espandeva ovunque all'orizzonte. «Muoviti!» incitò al bambino dall'alto.
  • «Saranno almeno 100 metri, e devo scendere da questa e risalire quell'altra collina » obbiettò il bambino.
  • «Prova a fidarti di me!»
Quel gufo non piaceva per niente a Teo, non vedeva l'ora di salire sulla sua schiena dal momento in cui aveva posato gli occhi sulla sua figura. Eppure, anche se quando i loro sguardi si erano incrociati gli era sembrato di comprendere i desideri, la volontà e persino i pensieri di quella “voce” e che la cosa fosse reciproca, lui ignorò la sua richiesta. Sentì il rifiuto come un'offesa e rifiutandosi di sprecare altre parole con Teogene chiuse la bocca e mosse le gambe.
In tre passi era sceso dal pianoro e solo altri due passi li vollero per raggiungere le pietre sopra le quali il gabbiano e il corvo ingaggiavano battaglia.
Teogene, che sincronizzandosi con Teodoro, si innalzò in aria mentre il bambino discendeva la collina e si buttò in picchiata mentre il piccolo risaliva il pendio, atterrò pesante tra i due uccelli. Separandoli e catturandoli con le sue ali, con le quali li strinse a se impedendogli la lotta o la fuga.
  • «Perché litigate?» chiese Teo afferrandosi le gambe, non era sicuro fossero le sue visti i movimenti che aveva compiuto, ma ricordandosi che si trattava solamente di un sogno si rassicurò e preferì investigare sui due strani animali.
  • «Lei ha spezzato la mia gitana! Ci vorrà una settimana almeno perché ritorni da me... era il nostro primo incontro!!!»
Teodoro inorridì, non aveva capito nulla di ciò che la gabbianella avesse detto, ma il fatto che parlasse con la voce di Lydia rendeva inquietante un sogno già parecchio strano.
Il corvo gracchiò, ma Teo non capì nulla.
  • «Lei è qui perché la sua gitana l'ha voluto, dice che Labris non può arrabbiarsi con lei perché ha esaudito un desiderio...»
  • «Non sto capendo niente... chi è Labris? Che vuol dire che ha spezzato la gitana?»
  • «La gabbianella è Labris, e spezzare vuol dire che ha interrotto il sogno del gitano prima della sua fine... l'ha riportato ad essere semplice pietra... guarda, ci sei in mezzo»
Teo guardò i suoi piedi e cacciò fuori dalla gola un'urlo che scosse l'intero mondo attorno a lui fino a che non scomparve nel buio, ritrovandosi a fissare le sagome sfocate degli aeroplanini di carta sulla sua scrivania.
La porta della cameretta si apri sul corridoio inondato di luce, la figura di Virginia era in ombra ma a Teo fu subito familiare, prima che lei chiedesse cosa fosse successo il bambino saltò giù dal letto e gli corse incontro ritrovandosi tra le braccia prima che potesse anche solo pensare di chiedere un'abbraccio. Cominciò a singhiozzare e piangere senza darsi pace ne provare a trattenersi, come solo quando si è bambini si può fare...
  • «Mamma...mamma... ho...mamma»
Ogni parola era interrotta da un singhiozzo o da Virginia, che a sua volta impossibilitata a parlare, lo stringeva così forte da fargli mancare quasi il fiato. Dopo quasi un anno aveva sentito nuovamente il suo bambino chiamarla mamma, e tanta era la gioia quanto il dispiacere. I sentimenti contrastanti divennero forza nelle braccia e debolezza negli occhi, lasciati liberi di sfogare che loro qualche lacrima in ricordo dell'amica mentre nessuno la poteva vedere.

Lydia li osservava dalla soglia di camera sua, stringeva forte la maniglia per rimanere in parte nascosta dalla porta in silenzio. Anche lei si era spaventata a sentire Teo, ma capiva che non poteva fare niente in quel momento che sua madre non stesse già facendo.
Teo incrociò il suo sguardo osservandola da sopra la spalla di Virginia e smise di piangere quasi istantaneamente. Aprì le mani che stringevano il pigiama di Virginia e la donna capì che era il segnale per concludere il loro abbraccio. Le due lacrime che le avevano solcato il viso erano già asciutte, ma si passò ugualmente la mano sulle guance per esserne sicura.
  • «che è successo tesoro? Un brutto sogno?»
  • «si»
  • «Me lo vuoi raccontare?»
Teo rimase in silenzio, avrebbe voluto farlo, ma aveva paura di violare una qualche regola del gioco creato con Lydia. Guardò la bambina oltre le spalle di Virginia, chiedendo il suo permesso con lo sguardo. Lydia annui, capendo perfettamente il bisogno che un attimo prima era stato il suo.
  • «Ho sognato delle pietre, erano per terra, una voce mi ha detto che era una persona che è stata spezzata... io ho guardato le pietre e una era la testa di Lydia, sembrava la sua statua ma era tutta rotta... e loro avevano detto che era una persona... quindi ho creduto che era Lydia fatta a pezzi... e ho urlato...»
Virginia lo abbracciò ancora una volta e Persino Lydia si avvicinò a lui
  • «Era solo un incubo, un brutto incubo... Dai... stanotte vi lascio dormire nella stessa stanza! Facciamo anche un fortino se volete!»
  • «Va bene...» Disse Teo asciugandosi il naso e gli occhi con la manica del pigiama.
Virginia sorvolò sulla delicatezza dei modi del bambino, e lo accompagnò in camera di Lydia. La bambina gli si mise al fianco ma Teo non aveva più il coraggio di guardarla dopo aver pianto ed aver raccontato il sogno.
Virginia preparò il letto in più della cameretta, liberandolo dai peluche e mettendoci un nuovo lenzuolo. Tirò fuori dalla cassettiera anche un lenzuolo scuro e largo sul quale erano state cucite stelle, pianeti e le varie forme della luna ricavati da pezzi di stoffa riciclata, coperte e vestiti smessi o rovinati. Quel lenzuolo era Il Lenzuolo. L'unico adatto per creare i loro fortini.
I bambini ne tirarono un angolo a testa, incastrandolo dietro la testata dei due letti mentre Virginia agganciava due cordicelle a degli anellini che pendevano dal soffitto, installati da Luigi appositamente per non demolire mezza casa in cerca di materiale per i loro giochi. In mezzo ai due letti Virginia si affrettò a portare tutti i cuscini della sua camera e davanti ai due lettini, agganciata al lenzuolo, una tenda su cui un cavaliere e un mago si davano battaglia con spada, bastone e magiche luci che volteggiavano attorno a loro. Ai lati dei letti altre due tende: un bosco dal lato di teo, il mare dal lato di Lydia
  • «Ok, è tutto pronto... che ne dite se la storia la concludiamo adesso invece di domattina... tanto siamo tutti belli svegli, e io credo di aver trovato la giusta ispirazione»
I bambini annuirono e Virginia si sedette in mezzo ai due letti, sopra un cuscino. Afferrò un grosso orsacchiotto dalla pancia bianca che si illuminò d'azzurro quando lei la schiacciò con le mani. Era una bella luce quella del peluche.
  • «Dove eravamo rimasti?» chiese ai bambini.
  • «Il corvo ha fatto un nido sopra la tana dei porcospini» disse Lydia
  • «Giusto!» confermò la madre, che si mise a guardare Teo, la cui bocca scompariva sotto il lenzuolo.
  • «Dunque, il corvo dall'alto dell'albero riusciva a vedere bene tutto ciò che lo circondava, capì subito quello che i porcospini già sapevano. Li la sua vita sarebbe stata molto facile! Avrebbe solo dovuto dividere con i porcospini tutti i doni dell'albero e della terra li vicino, per i due cuccioli, non ci sarebbero stati problemi, Anzi! L'arrivò del corvo fu subito visto come una bella novità! La possibilità di trovare in lui un nuovo amico, che facesse la guardia dall'alto e che gli potesse raccontare tante storie di viaggi, terre lontane e alberi diversi dal loro era vista come qualcosa di unico e di magico. Ma il corvo era fatto di una pasta diversa dalla loro, Perché dividere qualcosa quando la si può tenere tutta per se?
    Il corvo era vecchio e furbo, aveva visto tanti posti e fatto lunghi viaggi in vita sua. Sapeva bene come mandar via i porcospini, persino con il sorriso stampato sui loro bei musetti.»
Lydia si strinse le braccia e senza accorgersene avvicinò il viso alla madre. Che subito le sorrise e proseguì la storia
  • «Proprio come sto facendo io con voi, Il corvo raccontò ai porcospini una bella storia. Non c'è nulla di meglio per incantare i cuccioli della promessa di un divertimento, una lezione, e un'avventura tutti racchiusi in 5 minuti di belle parole. Ma state attenti, qualche storia nasconde lezioni sbagliate e se prestate troppo interesse rischiate di cadere dal letto...»
Virginia accarezzò la spalla di Lydia che si accorse di essere pericolosamente vicina al bordo del materasso. Poi accarezzò anche Teo, il quale stava fissando Lydia senza riuscire ne a scacciare dalla mente il viso pietrificato della sorella ne volerlo darlo a vedere.
  • «Il corvo, invitato a cena dai due cuccioli, saziata la pancia, li ringraziò cercando di imbrogliarli con la storia che aveva preparato: “sono in viaggio ormai da anni sapete, ho visto ogni genere di albero e ogni sorta di frutto. Da quelli dolci a quelli amari. Da quelli secchi a quelli succosi... ma mai nessuno era buono come il frutto della fatica” disse il corvo. “il frutto della fatica?” chiesero in coro i due porcospini. “che frutto è?” chiese il maschietto. “è un frutto molto raro! può nascere da ogni albero, e da dei doni speciali a chi riesce a mangiarlo! ma è difficile da trovare...e gli alberi vecchi come questo gli hanno già dati via tutti...” gli rispose il corvo. “per mangiarlo dobbiamo trovare un albero più giovane di questo?” chiese la dolce femminuccia al vecchio corvo. “Si” le rispose lui “o ancora meglio, dovete seminare voi l'albero... lontano da qui, in un posto dove non ci sono altri alberi, un posto dove sia anche difficile far crescere qualcosa”. I due cuccioli erano un po' preoccupati, ma desideravano tanto assaggiare il magico frutto, così, il giorno dopo, i due si misero in viaggio lasciando il corvo a godersi tutto il ben di Dio che quell'albero poteva offrirgli. Il viaggio dei due porcospini però era iniziato bene per loro... »
Ma Virginia dovette interrompersi. I due bambini erano crollati nel sonno, e non prestavano più attenzione alla sua storia. Non capitava spesso, ma l'ora era tarda, e anche se non era stata una delle notti più serene, bastò poco ai due fratellini per tornare a sentirsi al sicuro e liberi di chiudere gli occhi.
  • «c'è sempre tempo per concludere una bella storia.» sussurrò Virginia all'orsacchiotto luminoso mentre gli spegneva la pancia e si allontanava gattonando dal fortino, evitando di fare più rumore di quanto non fosse necessario.
Uscendo dalla porta si fermò ad osservare il fortino e il suo tetto coperto di stelle. Pensò a Federico e Camilla, augurandosi che stessero coricati su una di quelle stelle di stoffa a vegliare su quei due bambini tanto speciali.

mercoledì 11 maggio 2011

Il bambino, il gufo e le stanze buie


Prendere sonno era diventato difficile per Teodoro. Ora che non divideva più la stanza con Lydia si ritrovava ad avere molto più spazio, e durante il giorno questo gli piaceva. Un'intera stanza da riempire di idee, foto, disegni, ritagli, giochi e invenzioni. Aveva gia iniziato a fare degli aerei e delle barchette di carta come suo padre gli aveva insegnato, aveva in mente di farne a decine, centina! Anche se il momento era fermo a solo tre aerei decenti e una barchetta incerta.
Il suo progetto consisteva nell'appenderli con della lenza da pesca al soffitto, gli aerei più in alto, e le barchette più in basso, dopo sarebbero bastati degli striscioni azzurri per rappresentare il mare e lui avrebbe potuto divertirsi a immaginare le battaglie infinite tra le due cartacee flotte. Ma il lavoro si era rivelato più lungo del previsto, e la giornata era stata così piena che per quel giorno non era riuscito ad aggiungere nemmeno un elemento al suo progetto.
Teodoro guardava la barchetta giacere un po storta sulla scrivania, illuminata da una luce stradale, sperando di poterle dare qualche rinforzo il giorno seguente. Il buio invadeva la maggior parte della stanza, e guardando le pareti da sotto le lenzuola sembrava che il buio le allontanasse da lui, rendendo quel nuovo spazio guadagnato molto più che necessario, quasi eccessivo.
Uno degli svantaggi di avere troppo spazio per se stessi e proprio quello di sentirsi soli, pensava Teo, ma in realtà gli mancava parlare con Lydia fino a quanto non arrivava il sonno. Le ombre della della notte potevano essere molto interessanti se le si poteva commentare assieme, ma da solo erano noiose. Che gusto c'era a vedere un ombra con la forma di un cane sugli sci, se non c'era Lydia a dirgli che secondo lei era più simile ad un cavallo a dondolo. Teodoro Continuò a fissare quelle ombre fino a che queste non cominciarono a muoversi, ondeggiando probabilmente a causa del vento che colpiva la luce stradale. Il cane cominciò a ricordare sempre più un cavallo a dondolo, sino a quando non decise di scendere dagli sci e correre tra gli sprazzi di luce proiettata sulla parete.
Teo sgranò gli occhi. Non credeva a quello che stava succedendo. Davanti a lui l'ombra di un cane andava a mordere delle ombre e le tirava a se come avrebbe potuto tirare una coperta. Ne lasciava andare una e poi correva ad afferrare un'altra, riducendo sempre di più lo spazio di luce sulla parete. Infine la luce spari e Teodoro si ritrovo al buio da solo.
Tentò di dire qualcosa, ma si accorse alla prima vocale di non riuscire a produrre alcun suono. Non solo. Non riusciva più a sentire nemmeno il rumore del vento fuori dalla stanza. Iniziò a tremare.
Cominciò ad afferrarsi una mano con l'altra e poi a risalire le braccia per assicurarsi di essere ancora li, di esistere ancora sebbene non riuscisse più ne a vedere ne a sentire niente. Quando arrivò al volto si accorse toccandoli di avere gli occhi chiusi. Spostò le mani dal volto e fece un primo faticoso tentativo per guardare attraverso il buio.
Gli occhi di Teodoro si aprirono su un soffitto nero che ondeggiava sopra di lui come liquido, era in piedi, non più coricato nel letto e sentiva freddo ai piedi. Si accucciò per guardare anche il pavimento, era ruvido sotto i piedi ma morbido, divertente da calpestare e sbattendoci i piedi sopra lo vide vibrare come uno specchio d'acqua aprendosi con onde concentriche che rivelavano un riflesso verde smeraldo al loro avanzare. Le onde risalivano poi le pareti di quella stanza riunendosi sul soffitto esattamente sopra di lui, più che acqua, sembrava che tutto fatto di finissimo velluto.
Nel punto in cui le onde si riunirono la luminescenza color smeraldo rimaneva fissa, così Teo decise di calpestare a caso il pavimento, da prima lentamente, disegnando sul soffitto punti luminosi di diverse dimensioni, poi accelerando i suoi movimenti le onde cominciarono a scontrarsi e accavallarsi disegnando centinaia di forme curvilinee luminose anche su pavimento e pareti.
Era un gioco simpatico, ma l'interesse di Teo cominciava a scemare. Si guardò intorno e notò due puntini gialli in un angolo della stanza che fino a quel momento non gli erano mai balzati all'occhio.
  • «mi hai visto finalmente!»
Dalla direzione dei due puntini venne fuori una voce. Teo fece un passo nella loro direzione, e un'onda luminescente percorse tutta la stanza, passando sopra i due punti gialli che si deformarono per un attimo, come se si trovassero all'esterno di quello spazio di gioco.
  • «chi sei?»
  • «Teogene»
  • «mi posso avvicinare, non ti vedo bene da qui...»
  • «Tranquillo, mi avvicino io»
I due puntini cominciarono ad allargarsi, passando dalle dimensioni di due biglie a quelle di palline da ping pong, per poi diventare grandi quanto tazzine da tè. Al loro centro un cerchio nero di dimensioni inferiori diede a Teodoro l'impressione che quelle due grosse sfere gialle fossero degli occhi di Teogene.
La loro dimensione continuò ad aumentare fino a quando Teo aprì bocca.
  • «Fermo! Ora dimmi cosa sei... incominci ad essere un po troppo grande»
  • «Grande?»
  • «Si, vedo solo i tuoi occhi e sembrano dei palloni da calcio... chissà il resto! cosa sei?»
  • «Be, è presto per dirsi...»
  • «cosa vuol dire, non sai cosa sei?»
  • «Certo che lo so, ma se tu non riesci a vedermi per intero è difficile spiegartelo»
  • «Hai una voce familiare»
  • «Per forza, è la tua.»
  • «Parli con la mia voce?»
  • «no, tu parli. Io comunico. Tu hai una voce, io sono una voce.»
  • «Le voci hanno gli occhi?»
  • «la maggior parte»
  • «non ho mai sentito nulla del genere»
  • «forse ascolti poco»
Teodoro rimase in silenzio, non prese bene la critica ma non sapeva come ribattere a Teogene. Contemplò quei grossi occhi Gialli cercando di fissarli contemporaneamente. Ma erano troppo grandi e troppo vicini per farlo senza rischiare di diventare strabico. Si sedette per terra e continuò a fissarlo in silenzio.
  • «Sto ancora sognando vero?»
  • «Si, sei ancora nella tua stanza.»
  • «questa è la mia cameretta?»
  • «Si e no, il tuo corpo è nella tua cameretta, se intendi il posto dove dormi... questa è la stanza.»
  • «che vuol dire?»
  • «Concentrati... immagina una cosa qualsiasi»
  • «un oggetto?»
Prima che Teogene rispondesse dal soffitto sbucò fuori un aeroplanino di carta, prima verde e luminescente, poi bianco candido. Volteggiava senza peso attorno a Teo rispondendo a molte delle domande che aveva in testa.
  • «esaudisci i miei desideri?»
  • «no, quello è compito tuo.»
  • «Come hai fatto a far apparire l'aeroplanino di carta?»
  • «avevi bisogno di sapere cosa era la stanza, cosa ero io, perché sei qui, e a cosa serve tutto questo, giusto?»
  • «Si... credo»
  • «ora lo sai?»
  • «La stanza è come una parte di me, e anche tu lo sei, sono qui per capire come questo sogno funzioni giusto?»
  • «Tue le domande tue le risposte Teo»
  • «ho già sognato questo posto vero? Perché non mi hai mai parlato prima?»
  • «credo tu sappia anche questo...»
La risposta alla prima domanda era si. Un si che si illuminò nella mente di Teo come il segnale di ingresso libero per una biblioteca piena di domande e di risposte. Desiderare significava domandare, sognare permetteva di avere le risposte. Quelle possibilità non venivano dai due occhi gialli che si riferivano a se stessi come alla “voce di Teo”, ma da Teo stesso. “La voce” era qualcosa che Teo ancora non capiva, ma piuttosto di chiedere qualcos'altro su di lei, L'ennesima domanda che bruciava nella mente di Teodoro era un'altra
  • «Perché io? Cosa ho di speciale per avere una stanza come questa e tu come voce?»
  • «Tu sei un gitano, ogni gitano ha la sua voce, ma la stanza.... non sarei molto sicuro che sia tua.»
  • «e di chi è?»
  • «questo non ha importanza. Ma se vuoi capire meglio cosa siamo io e te, ripeti dopo di me: “Tu sei la mia voce e io sono il tuo gitano”»
  • «Gitano? Come uno zingaro?»
  • «Gitano come un Gitano, dai ripeti avanti...»
La voce sembra essersi un po' scocciata delle domande di Teo, ma in compenso a lui non piacque il tono con cui la voce gli aveva risposto.
  • «Tu sei la mia voce e io sono il tuo gitano...»
La stanza tremò, il nero sparì e tutto brillava di un verde ormai fosforescente, il colore cominciò a pulsare e una sagoma cominciò a tracciarsi intorno agli occhi come una lunga e gigantesca ombra azzurra che raggiungeva persino il pavimento.
  • «Su, concentrati! Ripetilo credendo in quello che noi due siamo. Siamo uno parte dell'altro.»
Disse la voce, e Teo capì di volere a sua volta che quelle parole venissero ripetute nel modo giusto.
Fissò la sagoma azzurra e vi vide attraverso un grosso gufo.
  • «Tu sei la mia voce, ed io il tuo Gitano.»
Le pareti si sciolsero permettendo alla luce del sole di entrare nella stanza, davanti a lui un gufo grande quanto una casa di tre piani lo fissava dall'alto. Teogene sembrava soddisfatto di Teodoro, e il bambino poteva dire altrettanto nel osservare una figura tanto imponente.
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono impelagandosi in una fitta discussione senza parole, quando un minuscolo uccello dalle piume color carbone, abbattendosi su una statua di pietra vicino ad un gabbiano non lontano da loro li distrae, e la furente battaglia aerea che ne segui non migliorò la loro concentrazione.

domenica 8 maggio 2011

Da chi correre dopo uno strano sogno?

Perché si era svegliata in primo luogo? La stanza era silenziosa, non era successo niente nel sogno, e men che meno in casa che potesse spiegarle perché il sogno era stato interrotto. Ma prima doveva dirlo a Teo! Non poteva aspettare! Ci sarebbe stato abbastanza tempo anche dopo per indagare.
Era un sogno diverso, troppo chiaro per essere solo un sogno, troppo coinvolgente per essere reale... era in qualche modo magico.
Saltò giù dal letto afferrandosi i pantaloni del pigiama alle ginocchia per sollevarlo e non camminarci sopra. Corse alla porta e l'apri, poi ritornando ad afferrare la gamba del pigiama si lanciò in corridoio verso la stanza di Teo con tutta l'intenzione di buttarlo giu dal letto se fosse stato necessario per svegliarlo.
Purtroppo prima di arrivare alla sua stanza si Imbatté in Luigi, che già indossava la divisa e quindi era sul punto di uscire di casa.
  • «e tu che ci fai in piedi?»
  • «Devo parlare con Teo zio...»
  • «Teo dorme, puoi aspettare a domani?»
  • «No! Zio no dai... non posso devo dirlo a Teo!!»
  • «é così importante da svegliarlo? E se stesse sognando qualcosa di importante?»
Lydia si calmò di colpo, Luigi aveva ragione. Poteva darsi che Anche Teo stesse sognando qualcosa di importante, e se anche lui avesse visto qualcosa nella sua stanza?
  • «Ok Zio... tu stai andando a lavorare adesso?»
  • «Si, sono passato a controllare che foste a letto... non ti ho svegliato io vero?»
  • «No...non mi sono accorta di niente»Ma forse era andata proprio così, era per colpa dello zio che si era svegliata « Mamma dov'è?»
  • «Nel suo studio, ma tu faresti meglio ad andare a letto!! ok?»
  • «Va bene, ma vado da mamma prima... buon lavoro Zio Gigi!»
Lo Zio la prese in braccio e lei gli stampò un bacino sulla guancia, poi se la buttò sulle spalle come un sacco. Lydia Rise, lo zio però non la portò allo studio della madre ma in camera sua. Era tempo per lei di dormire.
  • «No dai Zio... non riesco a dormire adesso! Portami da mamma...»
  • «No, io ti porto al massimo in camera tua... da tua mamma ci vai da sola a farti sgridare!»
  • «Ok, dai... ciao Zio!»
  • «Ciao bellissima... a domani! Buonanotte!»
  • «Buonanotte Zio!»
Una volta a terra Lydia corse verso lo studio della madre, sempre afferrandosi i pantaloni del pigiama. Luigi pensò, per l'ennesima volta, a quanto bello poteva essere il mondo se ci si concentrava nel vederlo con gli occhi di un bambino, Lydia e Teo probabilmente gli avevano salvato la vita, e continuavano a salvarlo dal dolore senza saperlo ne tentando di farlo. Bastava correre afferrandosi il pigiama sopra il ginocchio.

  • «Mamma!!! Ho fatto un sogno bellissimo!!!»
Virginia saltò sulla sedia, come se ci fosse caduta sopra dalla cima di una montagna. Era talmente concentrata sul suo racconto e sui disegni che i bambini le avevano fatto del corvo da dimenticarsi addirittura di dove si trovava. Ma quando riconobbe la voce della figlia, si tranquillizò e la fece avvicinare:
  • «Dai... mi vuoi raccontare un tuo sogno?»
  • «Si, ma perché è importante... ho visto delle cose magiche nel sogno... cos'è un gitano?»
  • «C'entra con il sogno?»
  • «Si... me lo spieghi prima di raccontartelo?»
  • «va bene, allora...» Virginia non sapeva da dove cominciare, non era una parola comune e non voleva dargli una spiegazione troppo riduttiva. Sarebbe stato troppo facile chiamare i gitani, zingari e lasciare che la bambina associasse le due cose, magari anche più di due, se avesse poi sentito quelle parole usate in termini dispregiativi
  • «...un gitano e un nomade, e una persona che non appartiene a nessun posto ma vive dappertutto. Molti di loro formano delle comunità, ma non so dirti di più, non conosco bene la loro cultura... ma credo che i gitani siano una tribù di nomadi particolari, non so se è perché passano la maggior parte del tempo accampati in una particolare regione o perché siano per la maggior parte artisti di strada... scusa se non so dirti di più, ho anche paura di essermi sbagliata su qualcosa...»
  • «no no, sei stata perfetta! Un gitano e una persona che viaggia tra tanti posti?»
  • «Si, più o meno... dove hai sentito quella parola? In un film?»
  • «No, me l'ha detta Labris!»
  • «e chi è Labris?»
  • «é un gabbiano che parla con la mia voce, e credo viva nei miei sogni...»
  • «é lui che hai sognato?»
  • «Si, mi ha detto che sono una gitana, la sua gitana! E lui è la mia voce!»
un lampo bianco illuminò la finestra, Virginia trasalì e allo stesso tempo Lydia, che si ritrovò a fissare spaventata la Finestra
  • «Hai visto mamma? Cos'era?»
  • «niente amore, un lampo, forse ci sarà un piccolo temporale...»
Virginia non aveva visto le ali bianche sbattere contro la finestra, ma Lydia cominciava ad assere spaventata. Dopo un po' però un tuono arrivò a risuonare sopra le nuvole
  • «Visto, ecco anche il tuono... era solo un lampo, ti vedo spaventata lili...»
Virginia era ovviamente preoccupata per la faccia della figlia, ma lei si riprese subito, c'era stato anche un tuono. Forse si era immaginata tutto.
  • «Mi racconti il resto del sogno? Cosa hai fatto con questo gabbiano?»
  • «non molto abbiamo parlato, ma poi il sogno e finito all'improvviso... però era bellissimo! Sembrava felice di potermi parlare... ma devo raccontarti tutto dall'inizio...»
Prima che Lydia se ne accorgesse aveva raccontato alla madre tutto il suo sogno, e ora pendeva dalle labbra della madre in attesa di una spiegazione a quel sogno così reale. Ma questa fu più triste di quello che si aspettava.
- «I sogni sono solo frammenti di ricordi. non sappiamo come lavora la nostra testa, mescola quello che conosciamo e ce lo fa sognare quando riposiamo, realtà e fantasia scompaiono... il tuo era un sogno bellissimo, ma non voleva dire niente... non preoccuparti... e va a dormire. Magari ne sogni un altro pezzo e allora tutto prenderà senso, che ne dici?»

sabato 7 maggio 2011

Desideri, Gabbiani e Risate

  • «ma tu parli con la mia voce?»
Lydia riprese a dialogare con il fuoco, incerta sul suono della sua voce, ma sicura che quella fluttuante palla bianca volesse far intenderle quello
  • «Scusami, ma è l'unica che conosco...» Ogni parola delle fiamme faceva tremre le lingue di fuoco che la componevano
  • «non scusarti, è strano ma va bene...» le rispose Lydia intenerita dal tono in cui le fiamme le chiesero scusa, avrebbe voluto fare un'altra domanda ma la sua voce riprese a parlarle senza usare la sua bocca.
  • «Non è strano, per tutti è così. E Per quello che ci chiamano voci credo...»
  • «Ci sono altre palle di fuoco come te?»
  • «Palle di fuoco?» la voce si fece perplessa, come se non capisse di che si stesse parlando. Le lingue di fuoco si attorcigliano tra di loro prima in un verso poi nell'altro lanciando qualche nuova scintilla verso il cielo prima di riprendere a parlare
  • «...Mi vedi come una “palla”?? »
  • «non proprio una palla, ma una specie di fuoco sospeso a mezz'aria...»
  • «Be...» la voce sembrava rassicurata ma ancora un po delusa del suo aspetto «...un fuoco e meglio di una palla... speravo in una nuvola però... mia madre apparì al suo gitano come una nuvola...»
  • «non credo mi piacerebbe sentire una nuvola parlare con la mia voce... però che vuol dire “gitano”?»
  • «cosa vuol dire non lo so, ma so che tu sei la mia gitana...»
Lydia era perplessa, la discussione le sembrava avere senso e per quanto bizzarra fosse la stanza in cui si trovava, quell'ambiente la metteva a suo agio.
  • «Tu sei la mia voce... e io sono la tua gitana?»
a quelle parole il fuoco diventò più grande. La musica riprese da dove si era interrotta lasciando Lydia a chiedersi se fosse sparita mai del tutto.
  • « Ridimelo Lydia! Ma non come domanda!»
  • «Cosa?»
Lydia si fece indietro, il fuoco diventò più caldo e le punte delle fiamme mutarono al color rosso, la stanza brillava della luce che la fiamma le proiettava contro e le greche del pavimento si accesero di una luce rossastra ancora più abbagliante. La bambina però non sentiva paura, l'aria bollente che sentiva attorno a se al contrario la soffocava e per quanto si allontanasse e cercasse di coprirsi il viso il calore non calava e la luce non spariva.
  • «L'ultima frase che hai pronunciato! Ripetila, era bellissima!!»
Ci volle qualche profondo respiro perché Lydia obbedisse all'ordine, scoprendo come il desiderio di farlo fosse tanto suo come della voce.
  • «Tu sei la mia Voce...» La base delle fiamme divenne bianca come la neve colpita dal sole e le punte così rosse da sembrare sangue
  • «...ed Io sono...»
Le ci volle un altro respiro per poter combattere quel calore intenso, ma dopo aver pronunciato le altre tre parole tutto si fermo; la musica, le fiamme danzanti della palla di fuoco e persino un paio di scintille sembravano essersi fermate a mezz'aria in attesa che Lydia completasse la sua frase.

  • «...la tua Gitana.»
BANG.
La fiamme esplose e con essa la stanza dividendosi in milioni di schegge lasciando Lydia nel vuoto a precipitare verso un suolo che sembrava essere lontanissimo. Una pianura verde smeraldo si espandeva ovunque poggiasse l'occhio ma per quanto fosse bella, non sembrava essere per nulla soffice.
La voce tornò a farsi sentire, ma in quel momento era sicura per la prima voltadi non riuscire a sentire nessuna musica.
  • «Su avanti... non vorrai svegliarti proprio ora! Comincia a volare...»
  • «Ma come faccio???» Urlò Lydia a se stessa. Non vedeva più il fuoco e cominciava a sentirsi a disagio
  • «Non preoccuparti! Ricorda quello che provavi nella stanza! Hai desiderato dire quelle parole come io ho desiderato sentirle! E l'hai fatto! Hai realizzato un tuo desiderio... devi essere felice!»
  • «Come in Peter Pan? Serve un pensiero felice per volare?»
  • «No, devi solo esserlo... dimentica la preoccupazione, ricorda la tua stanza, chiediti cosa vuoi fare!»
Sembrava tutto molto complicato, ma in fondo Lydia aveva gia volato la notte precedente! E sapeva cosa voleva:
  • «Voglio volare!»
Le greche rosse della stanza apparirono sulla sua mano e su i suoi piedi finendo dentro le maniche e i pantaloni del pigiama. Aveva l'impressione di riuscire a toccare l'aria come se questa fosse molto più solida. Cominciò a planare, delicatamente, verso il suolo ondeggiando come una piuma.
Sopra di lei un gabbiano bianco, con le zampe e il becco di un rosso molto vivace, volteggiava in cerchio; Quando si realizza un desiderio nascosto, un sogno, qualcosa che da sempre abbiamo voluto ma che delle volte abbiamo dimenticato di volere o ,addirittura, che ignoravamo di aspettare fino all'istante in cui questo diventa nostro! Non c'è parola al mondo che riesca a dire meglio cosa si provi ad ottenere la felicità di una sonora e piena risata.
Il gabbiano scese su di lei e cominciò a volarle accanto, anche lui rideva, o almeno i suoi versi sembravano volerlo dire.
Lydia si sollevò sopra il bianco volatile con una piroetta, e non riusciva a fermare la sua risata, per qualche minuto continuarono a danzare nel vento, ma Lydia aspettava solamente il ritorno della voce o almeno della musica, senza le quali cominciava a sentirsi sola.
  • « Non preoccuparti, sono qui non mi riconosci?»
Il gabbiano le aveva appena parlato con la stessa voce del fuoco e quindi con la sua.
  • «Sei un gabbiano adesso?»
  • «In realtà lo sono sempre stato, e da quando siamo nati che io mi vedo con questa forma»
  • «e come mai prima non riuscivo a vederti così?»
  • «Perché non era ancora il momento credo... e tutto nuovo anche per me!»
I due scesero a terra, ma Labris non toccò il suolo, benché Lydia non sentisse nessun alito di vento su di se, il gabbiano restava ferma a mezz'aria come un aquilone. Davanti a Lydia si presentava il più verde dei paesaggi. Una infinita distesa erbosa che ricopriva centinaia di piccoli colli, un ondeggiante ed immobile mare verde su cui però era possibile intravvedere delle colonne grigie, a prima vista non molto alte che sembravano sparse a caso, delle volte da sole, altre a coppie di due.
  • «cosa sono quelle?»
  • «sognatori...più o meno... diciamo “addormentati”. Qualcuno li chiama sognatori cardine»
  • «non capisco, Sognatori?»
  • «Si, ovvio... chi volevi incontrare in un sogno?»
La stanza di Lydia tornò ad apparirle dietro al suo lenzuolo, la luce della finestra al suo posto e le ombre dei mobili poggiate alle pareti come sarebbero dovute essere. Purtroppo quando stavolta cercò di togliersi dagli occhi il leggero tessuto che le copriva la testa, le ombre rimasero al loro posto e la finestra non si volle spostare sopra la sua testa. Si era svegliata in un mondo molto meno divertente, e anche se rabbia e delusione cominciavano a risalire il bordo del letto, l'eccitazione dell'accaduto le ricaccio via. Quello era un sogno che non poteva aspettare al mattino per essere raccontato.

giovedì 5 maggio 2011

La voce di Lydia

Dapprima vi era solo silenzio. Poi la testa di Lydia fu mossa con delicatezza, sospinta da una sinfonia, una musica liquida che la colpiva e le passava attraverso, onda dopo onda; Credette di essere al mare, coricata sul bagnasciuga in balia delle onde che si infrangevano sulla riva e su di lei, accarezzando tutto come un fa il pianista su ebano e avorio. Poteva sentire il sole caldo colpirle il viso e un vento leggero soffiarle addosso un profumo di more. La melodia divenne prorompente in un istante, poi solo silenzio.
La bambina si svegliò di soprassalto.
Era solo un sogno, per un attimo aveva creduto di essere al mare. Invece era in camera sua, e anche se era buio e un lenzuolo le copriva il volto riusciva a vedere attraverso di esso le forme della sua cameretta.
Doveva tornare a dormire se voleva sognare la stanza. Poggiò di nuovo la testa sul cuscino, ma il lenzuolo le era caduto dietro la testa e coricandocisi sopra stava scomoda. Provò a toglierselo di dosso sollevando le braccia sopra la testa, afferrando il tessuto con le mani e tirando, ma l'impresa era più difficile del previsto. Aveva come l'impressione di essere aggrovigliata in una ragnatela. Il suo respiro diventò più affannoso e sebbene avvolta saldamente nel tessuto, poteva continuare ad agitarsi ancora. Più lo faceva più il lenzuolo si stringeva a lei. 
Aprì gli occhi e le ombre della stanza che prima vedeva attraverso il lenzuolo si stavano piegando e deformando; guardare attraverso il tessuto del lenzuolo era come guardare attraverso una lente deformante che cambiava la forma delle ombre e della luce filtrata dalla finestra, che sebbene si trovasse al fianco del letto di Lydia, le illuminava il volto prima da davanti e poi da sopra la sua testa. Quando finalmente si tolse dal viso il lenzuolo, strappando e scucendo il tessuto che la opprimeva, fu come uscire da un dipinto. Quello che il lenzuolo le faceva vedere non era altro che un la trama del tessuto, dietro di esso una stanza molto diversa da quella dove si era addormentata la circondava con il suo buio.
  • «C'è qualcuno?» Urlò
Ma solo un leggero eco le restituì la risposta da Lydia segretamente temuta.
  • «“no... no... no...”»
Prese il lenzuolo, ma si accorse che questo si stava fondendo al pavimento e che il cuscino era già sparito. Tirò con forza, ma il cotone stava diventando pesante come marmo e lei da sola non riusciva a reggerne la caduta.
  • «Dai!! stanotte voglio restare!! fermati!»
Il lenzuolo cadde al suolo colpendolo come uno schiaffo. La luce si spense e un fulmine colpì il centro della stanza invadendola per un istante con la sua luce prima di restituirla al buio.
A Lydia bruciarono gli occhi, vedeva dei bagliori verdi, gialli e rossi che le pulsavano davanti, come quando le era capitato di schiacciarsi con forza gli occhi chiusi dentro le orbite. I bagliori andarono schiarendosi sempre di più fino a quando da rossi divennero rosa e poi continuando a schiarirsi non si ridussero ad altro che ad una piccola luce bianca, debole, soffice: un minuscolo fuoco, candido come un fiocco di neve, ma vivo e pulsante come fosse al centro di una prateria sferzata dal vento.
Quella palla di fiamme bianche era l'unica cosa brillante rimasta nella stanza ormai completamente buia, la bambina le si avvicinò con la prudenza di chi sa di camminare sul ciglio di un altissimo burrone: senza lasciarsi vincere ne dalla paura ne dall'eccessiva fiducia nei propri piedi.
Come Lydia iniziò a desiderare un po' di luce, al di sotto del fuoco una linea bianca tagliò in due la stanza, da essa nacquero altre linee, perpendicolari alla prima e distanti una ventina di centimetri l'una dall'altra. Le linee erano estremamente luminose e mentre si allontanarono dalla loro origine, emettevano un suono. Lydia le guardava a bocca aperta, ma non ci prestava molta attenzione. Il piccolo fuoco bianco al centro della stanza era molto più attraente ai suoi occhi; le linee iniziarono a formare delle greca sul pavimento, ognuna cresceva in modo indipendente ma rispettavano le distanze e le misure, ma soprattutto il ritmo.
La musica che nasceva dal pavimento aveva qualcosa di familiare, eppure Lydia sapeva di non averla mai sentita prima. Ormai era chiaro che non era sveglia, ma quello non era un sogno, e il fuoco che bruciava bianco al centro della stanza non era una semplice immagine nata dalla sua mente. Lei bruciava assieme al fuoco e le linee che venivano tracciate sul pavimento le sentiva rigarle la schiena come se disegnate con il dito di una mano, ma dall'interno di se stessa. Non sarebbe mai riuscita a spiegarlo, ma sapeva che, come quella musica non l'avrebbe mai dimenticato e un giorno sarebbe riuscita ad esprimerlo a parole.
Il fuoco Bianco poi esplose e la stanza non fu mai più buia. Le greche disegnate sul pavimento da bianche divennero rosso vivo, come se dentro di esse scorresse lava bollente. Lydia era senza parole, ma non per sua scelta. Provò più volte a gridare un'esclamazione di stupore ma dalla sua bocca non uscia altro che la melodia che aveva fino a quel momento sentito.
In ultimo cadde il silenzio. Poi Lydia udì dei suoni diventare parole davanti a lei.
  • «Ciao Lydia, sono Labris...»
  • «che bel nome...»e subito le sue mani coprirono la lingua, non voleva parlare, aveva solo pensato «cosa sei?»
  • «Grazie. Non sai cosa sono?» e il fuoco lanciò qualche bianca scintilla verso il soffitto, spaventando Lydia. Ignara fino a quell'istante di essere sotto un gigantesco specchio.
  • «No, e dove sono? Non stavo sognando?»
  • «una cosa per volta Lydia»
  • «Sai il mio nome?»
  • «Si, tu sapevi il mio dopotutto...»
  • «No, non è vero...tu mi hai detto come ti chiamavi»
  • «Forse non hai ascoltato bene...»
In quel momento Lydia capì che fu sempre stata la sua voce a parlargli.

mercoledì 4 maggio 2011

Non c'era bisogno di dire buonanotte

Lydia e Teo si misero in fretta a disegnare il grosso volatile nero, ma mentre Lydia cercava di renderlo il più minaccioso possibile, Teo ne disegnava i tratti con molta fermezza cercando di rendere la sua figura più netta possibile, anche se non gli piaceva non voleva che il suo disegno lo raffigurasse più cattivo o pauroso di quel che era, dopotutto aveva solo disturbato qualche sogno, non aveva fatto male a nessuno. Non era giusto giudicarlo dalle apparenze.
  • «il tuo corvo mi sembra piccolino» disse Lydia
  • «è solo perché è visto da lontano...» le rispose Teo
  • «Guarda il mio» e Lydia sollevò il foglio «ha le ali aperte e le piume tutte gonfie! Deve far paura ai porcospini...»
  • «Ah già! È per la storia, dietro al corvo stavo già per disegnare le sfere gialle che ho visto ieri...»
  • «Volevi disegnare il quel corvo nero??»
  • «Be si, se penso ad un corvo penso a lui... perché tu non hai disegnato quello??? sembra lui»
  • «Bhe no, i corvi si somigliano tutti!» Rispose Lydia seccata.
Era stata colta in fallo, per quanto volesse negarlo anche lei stava pensando a quel gufo. Ma non voleva darlo a vedere. Una volta aveva sentito dire che è meglio non mostrare a gli altri la propria paura, e anche se Teo non l'avrebbe usata contro di lei, non aveva nemmeno voglia di dargli facilmente ragione.
Finiti i disegni colorano di giallo occhi, becco e zampe rimisero in borsa i propri astucci e i fogli da disegno, avevano un solo libro da usare, quello delle vacanze, ed era già nello zaino. Nei prossimi giorni avrebbero dovuto prendere dei libri nuovi però, non vedevano l'ora.

Lasciarono i disegni sul tavolo della cucina, Luigi era andato in camera sua a prepararsi per il lavoro e Virginia stava bevendo una tisana mentre ascoltava un po di musica alla radio.
  • «Avete già finito?»
  • «Si!!» risposero in coro
  • «Bravissimi, allora correte da Gigi, sta per uscire... dategli la buonanotte!»
I due bambini corsero lungo il corridoio sino alla stanza di Luigi. Bussarono forte e lui uscì fuori con i pantaloni della divisa, una maglia bianca e la camicia aperta poggiata sopra!
  • «State andando già a letto?»
  • «Invidioso eh?» gli fece Teo strizzandogli l'occhio
  • «ehi! Non sono ancora così vecchio da farmi prendere in giro da mio figlio... vieni qui!!»
Luigi sollevò Teodoro da terra prendendolo di scatto con le mani sotto le ascelle e lanciandolo in aria. Il bambino Rise e Lydia si abbassò di colpo per paura di prendere qualche calcio da Teo che si agitava tra le braccia del padre, possibilità che l'esperienza gli aveva insegnato non essere troppo remota. Luigi sollevò poi anche Lydia e diede due bacioni alle guance di entrambi prima di rimetterli a terra.
  • «Dai, io finisco di prepararmi... andate a letto!»
  • «Ma dobbiamo anche stanotte...»
  • «...Dormire ognuno nella sua stanza? Si, e ne abbiamo già parlato per oggi. andate» così, stroncando la domanda della bambina sul nascere, Luigi si congedò dai bambini ricominciando a prepararsi per il lavoro.
I due bambini andarono a dare il bacio della buonanotte anche a Virginia, ma con loro furono più veloci. Tanto poi l'avrebbero rivista per il rimbocco delle coperte.
Salirono in fretta al piano superiore, Lydia si fermò davanti alla stanza di Teo aspettando che si infilasse il pigiama per poi andare entrambi in camera sua.
  • «Iniziamo?» le chiese Teo
  • «Aspetta che mi metto il pigiama anche io!!»
Teo da buon cavaliere distolse lo sguardo, non che a Lydia importasse, ma era il motivo per cui secondo i genitori dovevano stare in stanze separate. Quando la bambina ebbe finito i due si sedettero sul letto, uno di fronte all'altra, prendendosi dandosi la mano e stringendo forte. Poi Teodoro prese la parola:
  • «Oggi cercheremo di restare il più possibile nella stanza! Cercheremo di capire dove siamo...»
  • «Ok!» Rispose la bambina «e se vediamo il corvo fare del male a qualcuno combattiamo!»
  • «Giusto! Dobbiamo cercare delle armi!»
  • «Possiamo prenderlo a pungi!»
  • «ma lui vola!»
  • «Volerò anche io se serve...»
  • «Ok!»
  • «Ok!»
Poi in coro ripeterono il loro motto della buonanotte:
  • «A dispetto del Grande corvo, cambierò il mondo che vedrò quando credevo di sognare... »
Detto questo Teo torno in camera sua. Non c'era bisogno di dire buonanotte, bastava quel motto per augurarsela.